The Witness – Recensione

The Witness non è un gioco come tanti. Non voleva esserlo e così effettivamente è stato. Sembra un prodotto d’altri tempi, quasi una sorta di erede spirituale di Myst (anche se profondamente diverso), appartenente ormai a un’epoca differente, per un pubblico che non si spaventava di fronte all’assenza di un qualsiasi messaggio a schermo che semplicemente dicesse cosa fare, dove andare e per quale scopo. Ecco, The Witness è così: prende a cazzotti in faccia l’abnorme aura di semplicità che ha abbracciato gran parte dei videogiochi oggi in commercio per adattarsi a una massa di acquirenti certamente molto più vasta che in passato, che oggi rende l’appassionato quasi un personaggio d’élite in nome di una massificazione del mercato probabilmente inevitabile per la sua crescita. La prende a cazzotti questa semplicità e, non contento, vuole finire il lavoro non appena crolla a terra: The Witness non ha pietà, diventa sempre più malvagio e imprevedibile non appena si scopre nella sua straordinaria bellezza e si fa odiare così tanto che a un certo punto si finisce inevitabilmente per amarlo, tanto è splendidamente tenace nel mantenere ed accrescere un certo modo d’essere dall’inizio alla fine.

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The Witness – Recensione: Quei maledetti pannelli…

Soli all’interno di un buio e stretto corridoio, l’inizio è già di per sé spiazzante: non c’è alcuna voce a narrare la storia, né la minima indicazione su dove andare e come procedere. L’unica cosa da fare allora è provare a spostare l’analogico in avanti per vedere cosa succede, fino a quando il proprio alter-ego non mette piede su un’isola dimenticata dall’uomo e da Dio, in cui la natura si fonde con l’ingegno umano e diventa un tutt’uno strepitoso che descrive alla perfezione cosa vuol dire saper progettare un level design da paura. Jonathan Blow aveva già dimostrato con Braid di essere una personalità un po’ particolare, talvolta pungente (e basta dare una lettura alle sue dichiarazioni), ma certamente geniale: e ora, che dalle piattaforme del suo primo progetto è passato a un puzzle game tanto ispirato quanto subdolo e impegnativo, ne abbiamo ulteriore conferma.

Quindi, precisamente, cosa bisogna fare in The Witness? L’isola comprende particolari congegni e macchinari che vanno alimentati attraverso specifici pannelli energetici. Ogni pannello deve essere attivato tramite la risoluzione di un enigma in cui obiettivo è quello di arrivare da un punto a un altro con una linea che deve districarsi all’interno di un labirinto. Tutto qui? Sì, tutto qui. Detta così, il gioco può apparire come la cosa più semplice e banale del mondo perché si può anche commettere l’errore di pensare e, fidatevi, farete questo errore, che una volta capita la logica tutto il resto sarà poi una passeggiata. E invece non è per niente così. L’isola di The Witness è suddivisa in tantissime zone, ognuna comprendente una tipologia di enigma differente da quella precedente: l’obiettivo finale di ogni puzzle è sempre quello descritto in precedenza, ma cambiano i modi e le regole per completarli correttamente. Già superata la primissima parte iniziale, bastano pochi passi e i nuovi pannelli che si trovano di fronte stravolgono completamente le regole: se prima, ad esempio, dovevate suddividere due colori differenti, adesso dovrete controllare due linee allo stesso tempo che si muovono in maniera speculare, portando ognuna di esse alla conclusione mentre raccogliete dei piccoli punti del loro rispettivo colore. E questi sono solo due dei tanti, ma davvero tanti esempi che potremmo fare, perché è sorprendente quanto The Witness si rinnovi da solo zona dopo zona e riesca nella straordinaria impresa di non risultare mai ripetitivo: la genialità dei suoi enigmi fa già e farà la storia di questo genere, una lezione di level design di cui tutti dovrebbero prendere nota.

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La cosa magnifica è che non bisogna mai fermarsi al pannello: osservate l’ambiente, la soluzione potrebbe essere persino nel gioco di ombre e luce che creano i raggi del sole filtrando tra i rami di un albero, oppure in percorsi sul terreno che non sono abbandonati alla natura. Questo è un altro importantissimo elemento di pregio di questa produzione, perché non è affatto facile unire il piacere dell’esplorazione totalmente libera ai rigidi schemi di un puzzle game: l’isola, dotata di uno stile grafico particolare ma notevole e di impatto, è poi magnifica e paradisiaca, un concentrato di pace e tranquillità che ha perlomeno il merito di donare un po’ di pace e relax tra un enigma e un altro. Magari ci si ferma ad osservare l’orizzonte pensando a quel pannello che in quel momento sembra impossibile risolvere: passare a un’altra zona o provarci ancora? Il bello è che non ci sono percorsi predefiniti da seguire, ma si può scegliere la progressione che si preferisce. È chiaro che vi sono puzzle praticamente impossibili da risolvere se prima non si trova il conseguente pannello basilare che permette di capire la logica dell’enigma: e anche in quel caso non crediate che diventi una passeggiata. Capire come arrivare alla meta è un discorso, farlo, specialmente con i pannelli più avanzati, è totalmente un altro paio di maniche. E quindi sì, a un certo punto finirete per odiarlo: magari poserete anche il pad promettendovi di non riprenderlo mai più, salvo tornare sull’isola il giorno dopo perché conoscete quel grandioso senso di soddisfazione che arriva non appena sarete riusciti a completare un’area o a capire semplicemente un solo enigma. E sono tanti, sono centinaia. Non lo finirete presto né tanto facilmente.

Ma non si tratta solo di puro gameplay perché, seppur ben nascosto, c’è anche un filone narrativo che pian piano si scopre, attraverso dettagli e video che sembrano usciti da lezioni di filosofia antica. Nulla è lasciato al caso, anche quell’isola apparentemente caotica nasconde un significato ben preciso: parlare della storia significherebbe rovinarvi la sorpresa, perciò lasceremo che siate voi a scoprire quali segreti si nascondono dietro quel paradiso. Anche se, lo diciamo subito, questa componente non raggiunge i livelli di The Talos Principle, per citare un esempio recente, sebbene in questo caso non se ne senta affatto la mancanza.

The Witness recensione 01

Commento finale

The Witness entra furiosamente in campo e ne esce con una standing ovation da 92 minuti di applausi, per parlare un po’ in termini fantozziani. Tornando seri: siamo di fronte a uno dei puzzle game migliori che la storia ricordi, cui impatto è ancora più forte di quello che ebbe l’altrettanto geniale Portal nella scorsa generazione. Perché se Portal era soltanto uno splendido esperimento consacratosi con il suo straordinario sequel, qui siamo davanti a un prodotto tutto d’un pezzo, già pronto a ritagliarsi meritatamente il suo spazio nell’Olimpo di questa generazione (e non solo). Lungo, impegnativo, a tratti veramente arduo, bellissimo e bucolico da vedere e ascoltare. È il capolavoro che gli amanti del genere meritavano.

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