SUPERHOT – Recensione

Il prototipo di “SUPERHOT”, creato per la 7 Day FPS Challenge (creare uno sparatutto in prima persona in soli sette giorni) nel 2013 era breve e semplice, ma aveva dentro una grande idea: in “SUPERHOT” il tempo avanza a velocità normale solo quando mi muovo. Se sto fermo, il mondo intorno a me vive al rallentatore, come in una slowmo di “Matrix” o nel bullet time introdotto nei videogiochi dal primo “Max Payne” di Remedy Entertainment nel 2001 e poi ripreso, nel 20015, dal primo “F.E.A.R.” di Monolith Productions. Se in questi giochi dovevo azionare questo potere, che era disponibile in quantità limitata, in “SUPERHOT” la situazione è invertita: solo per mio volere il mondo può muoversi a velocità normale. Le possibilità offerta da questa meccanica erano enormi e, attraverso Kickstarter, gli autori di “SUPERHOT” hanno infine trovato i mezzi per realizzare una versione più lunga, rifinita e bella del prototipo originale.

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SUPERHOT – Recensione: Gameplay e armi

La nuova versione di “SUPERHOT” resta fedele alla formula originale. Il gioco è diviso in brevi livelli, apparentemente slegati tra loro, in cui tutto è bianco tranne i rossi nemici, esseri umani low-poly che esplodono come costruzioni di vetro appena colpiti da un proiettili. La qualità e la direzione grafica sono superbe, e il mondo di “SUPERHOT”, con le sue strutture semplici e i suoi pochi colori, mi sa comunicare moltissimo, mi rende immediatamente chiaro tutto quello che devo sapere di un ambiente. Il mio obiettivo, in ogni livello, è sempre lo stesso: devo uccidere tutti, sfruttando la mia capacità di rallentare il tempo quando sto fermo per scegliere con attenzione ogni mia singola mossa e agire con una velocità di reazione di cui i nemici sono incapaci.

Rispetto al prototipo, in cui potevo combattere solo a mani nude o con pistole, in questa nuova versione le mie opzioni sono molto più ricche. Posso uccidere a pugni un nemico (anche se ci vogliono ben tre colpi per farlo), posso disarmarlo con un pugno, prendere al volo la sua arma e ucciderlo con quella, posso lanciare la mia arma (distruggendola) per stordire e disarmare un avversario lontano, come posso lanciare anche oggetti trovati nell’ambientazione e ottenere lo stesso scopo, e posso sfruttare armi corpo-a-corpo che vanno dalla semplice mazza da baseball alla letale katana. Anche le armi da fuoco sono aumentate, e alla pistola si sono aggiunti il fucile, che spara una rosa di proiettili, e il fucile automatico che spara una sequenza di colpi con un solo clic.

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Combinare tutte queste possibilità, realizzabili semplicemente attraverso i due pulsanti del mio mouse, con i miei poteri temporali mi rende invincibile. Una macchina di morte che governa il tempo. “SUPERHOT” regala quel senso di gratificazione, di onnipotenza, che molti sparatutto rincorrono rozzamente, e intanto mantiene la qualità della sfida abbastanza elevata: i nemici mi circondano, apparendo (annunciati da un bagliore rosso) dalle porte dei livelli, e basta un solo colpo per uccidermi. Ma, a ogni morte, segue immediatamente la rinascita dall’inizio del livello: i miei poteri sono ancora intatti, il massacro è solo rimandato. In questo, come in molte delle meccaniche aggiunte in questa versione e che ho elencato, “SUPERHOT” richiama chiaramente “Hotline Miami” di Dennaton Games, senza averne però il ritmo forsennato e allucinato e trasformando invece lo sparatutto in puzzle ragionato.

SUPERHOT – Recensione: Storia e onnipotenza

Ma, tra un livello e l’altro, attraverso i menù del gioco (ispirati all’interfaccia DOS e tra i migliori menù che io abbia mai visto in un videogioco) inizia a delinearsi una storia, una trama. Capisco di essere non il protagonista di “SUPERHOT”, del videogioco “SUPERHOT”, ma un videogiocatore che lo sta provando dopo che un amico gliene ha fatta avere una copia crackata. E, andando avanti, il mondo del videogioco nel videogioco, di “SUPERHOT” in “SUPERHOT”, incontra e invade quello del me stesso videogiocatore nel videogioco. Il videogioco comincia a parlarmi, a negarsi, a darmi ordini. “Non sei tu ad avere il controllo”, mi dice a un certo punto, togliendomi tutta l’onnipotenza che pensavo di avere.

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Quello che “SUPERHOT” vuole dirmi è che l’onnipotenza degli sparatutto può essere divertente, ma è falsa. È falsa non tanto perché sia costretta nei limiti della finzione, del videogioco perché, anzi, uno dei temi di “SUPERHOT” è proprio l’unificazione di realtà e videogioco, di macchina e carne, software e mente. L’onnipotenza che ho in uno sparatutto, e in qualsiasi videogioco, è falsa perché è regolamentata, è diretta dagli sviluppatori. In “SUPERHOT” non ho avuto alcuna scelta, sin dall’inizio: mi è stata data una pistola, mi è stato detto di uccidere e l’ho fatto. E mi sono sentito potente, mentre ubbidivo a ordini.

Non si tratta, certo, di un concetto particolarmente originale: l’ultimo esempio di un simile ragionamento in un videogioco lo troviamo nell’eccellente “Undertale” di Toby Fox. Eppure, l’onnipotenza che “SUPERHOT” mi dà è in qualche modo giustamente bilanciata da queste parti narrative, da questo continuo ricordarmi i miei limiti, ricordarmi che il mio potere è illusorio, piccolo piccolo. Sono il signore del tempo in un mondo in cui posso solo uccidere perché così mi viene detto di fare. “Sei un bravo cagnolino” mi dice, a un certo punto, “SUPERHOT”. È frase che mi veniva detta anche nei momenti conclusivi del prototipo, in cui l’ultimo ordine che ricevevo, e che eseguivo, era quello di uccidermi.

SUPERHOT – Recensione: Durata e longevità

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Il problema di “SUPERHOT” è che è troppo, esageratamente, breve: la campagna principale si conclude in solo due ore.  Quella di “SUPERHOT” è disciplina, volontà di dare un’esperienza piena senza mai ripetizioni o momenti vuoti e poco significati. È, insomma, qualcosa che potrebbe essere visto come una qualità, e non come un problema. Ma “SUPERHOT” non riesce mai a sfruttare sino in fondo tutte le sue meccaniche. A un certo punto della storia acquisto il potere di spostarmi nei corpi dei nemici, e questa meccanica, se ben sfruttata, basterebbe da sola a generare altre due ore di gioco, con nuove e interessanti possibilità di movimento nello spazio. Invece, “SUPERHOT” arriva velocemente alla sua conclusione, e il mio nuovo potere resta in gran parte non sfruttato.

Dopo la conclusione della storia, “SUPERHOT” mi dà l’accesso a due nuove modalità che ne aumentano, però, longevità e rigiocabilità. Le Challenges (“sfide”) mi permettono di rigiocare la campagna principale cercando di completare i livelli nel minor tempo possibile o applicando regole speciali. Posso, per esempio, rigiocare tutti i livelli usando però solo la katana, o sottostando alle regole del prototipo del 2013, con solo le armi da fuoco e pugni capaci di uccidere in uno solo colpo, o diventando un fantasma senza la possibilità di usare armi ma con il potere di trasferirmi nei corpi nemici sin dall’inizio. L’Endless Mode è invece una lunghissima lista (da sbloccare uccisione dopo uccisione) di ambienti e modalità a punti, come modalità arena o sopravvivenza (in cui devo totalizzare più uccisioni possibili contro infiniti nemici) o prove a tempo. Rivisitare le meccaniche di “SUPERHOT”, seppure in livelli che si sono già visti o nell’Endless Mode, è un gran piacere, ma la sensazione è che manchi sostanza,

SUPERHOT – Recensione: In conclusione…

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“SUPERHOT” è lo sparatutto più innovativo a cui ho giocato negli ultimi anni. È la degna evoluzione del suo prototipo, realizzato con uno stile grafico raffinato e audace. Rovesciando il bullet time come lo conosciamo, “SUPERHOT” è uno sparatutto in cui il tempo si avanza sempre al rallentatore, tranne quando io mi muovo. Le sparatorie diventano allora sfide ragionate, dove ogni mia mossa ha importanza e in cui posso muovermi con agilità tra i proiettili nemici creando incredibili scene d’azione. La gratificazione, la sensazione di onnipotenza, che un livello di “SUPERHOT” concluso con successo mi dà è qualcosa che molti altri sparatutto tentano solo rozzamente di raggiungere, e l’unico degno confronto (per svariati motivi) è quello con “Hotline Miami”. La  storia di “SUPERHOT”, seppur non particolarmente originale nei suoi temi, bilancia questa onnipotenza con intelligenza, negandola e mostrandomela in un modo più problematico, meno eroico. Ma quello che frena “SUPERHOT” è la sua estrema brevità, la sua incapacità di arrivare sino in fondo, di sfruttare davvero le sue idee e le sue meccaniche. “SUPERHOT” di Superhot Team è attualmente disponibile per PC, Mac e Linux e acquistabile su Steam a €22,99, ma entro la fine del mese arriverà anche su Xbox One.

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