The Town of Light – Recensione

“The Town of Light” è un videogioco esplorativo in prima persona ambientato negli attuali ruderi di quello che fu l’ospedale psichiatrico di Volterra, in provincia di Pisa. Mentre esploro le stanze del manicomio, o di quello che ne è rimasto, rivivo i ricordi di Renée, che arrivò qua a 16 anni nel 1938 per poi non riuscire più a uscire, incastrata in un meccanismo incapace di guarire e che si accontentava di segregare, contenere zittire. La storia di Renée, che si concentra sugli eventi avvenuti negli anni 40, è creata a partire da documentazione reale e attraversa tutti i reparti del manicomio in un viaggio che cerca di investigare e mostrare senza pudori i limiti e le responsabilità degli ospedali psichiatrici italiani (e non solo).

the town of light recensione

Il videogioco horror ha usato ripetutamente il manicomio come ambientazione e ha spesso trattato il tema della malattia mentale, usata però come mero spunto per far paura: in opere come “Outlast” (ambientato appunto in manicomio) la diversità è qualcosa da temere e qualcosa contro cui scontrarsi. “The Town of Light” vuole rovesciare questa immagine, vuole dimostrare che il videogioco, con la sua capacità di mettermi nel corpo di un’altra persona e di farmi vedere il mondo con i suoi occhi, può aiutarmi a capire, ad accettare. “The Town of Light” mostra tutta l’umanità dei pazienti (e anche dei loro medici) senza tacere neanche la loro sessualità, argomento di solito assolutamente tabù quando si parla di malati mentali.

L’ospedale psichiatrico di Volterra fu chiuso nel 1978 con l’arrivo della Legge Basaglia, che determinava la fine dei manicomi. Abbiamo dovuto aspettare altri trenta anni, però, per vedere la vera conclusione della segregazione dei malati mentali con la chiusura anche degli ospedali psichiatrici giudiziari, dopo la lotta portata avanti dalla commissione parlamentare presieduta da Ignazio Marino. Il diverso continua, comunque, a essere allontanato dalla società in strutture come i carceri, i campi rom, i centri di accoglienza per rifugiati. Per questo, i temi di “The Town of Light” continuano in qualche modo a essere attuali, più di quanto il videogioco stesso sappia o sappia far intendere.

The Town of Light – Recensione: Renée

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In “The Town of Light” non è semplice capire chi sia la protagonista, il mio (solitamente) invisibile avatar. Sento nella mia testa la voce di Renée, che mi guida, e sostanzialmente solo la guida di questa voce, alla ricerca dei suoi ricordi perduti, mi indirizza nell’esplorazione del manicomio. La voce femminile si riferisce a volte a se stessa in prima persona, a volte parla di Renée in terza, a volte si rivolge a me, a volte si riferisce a un “noi”. A volte l’interazione tra me e la voce di Renée crea persino dei dialoghi che, insieme ad altre scelte, permettono di prendere strade diverse nella storia, di vedere facce differenti delle vicende passate.

Dover compiere azioni incomprensibili seguendo le indicazioni della voce è piuttosto straniante all’inizio. E la conseguenza è una profonda dissonanza tra me giocatore, che non capisco cosa dovrei fare perché e come, e il mio personaggio (o, meglio, la voce nella sua testa), che invece conosce ogni cosa per motivi a me misteriosi. Per esempio, la prima cosa che devo fare nel manicomio è cercare Charlotte, la vecchia bambola che Renée aveva con sé al suo arrivo a Volterra, metterla su una carrozzina e portarla al caldo sotto le luci del reparto di chirurgia. Non c’è una logica dietro queste azioni, se non quella della Renée che mi possiede: quelli che sto compiendo sono rituali che hanno perso il loro significato originario, ma perpetuano paure, comportamenti, gesti e momenti del passato e possono quindi rievocarlo, quasi magicamente.

The Town of Light – Recensione: L’esplorazione del presente

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L’esplorazione è insomma molto disordinata. Non capita mai di trovare, semplicemente, la chiave per una porta che prima era chiusa ma, procedendo con questa rievocazione magica dei ricordi di Renée, delle potenze direi paranormali si risvegliano e aprono e chiudono le porte per indirizzarmi. Non mi è neanche chiaro un obiettivo. Il risultato è che spesso, per capire dove gli sviluppatori vogliano che io vada devo o girare a caso e cercare quale porta si sia magicamente aperta dopo le mie ultime azioni o pigiare “H”, che mi fa chiedere a Renée cosa io debba fare e dove io debba andare. Sinceramente, spesso mi è stato necessario, mentre in certe occasioni solo l’intervento spontaneo di Renée, che mi ha visto vagare senza meta e senza capire dove andare, mi ha portato nella giusta direzione.

The Town of Light – Recensione: Il manicomio di Volterra

Per quanto l’esplorazione sia lineare (come spesso accade in questo genere di giochi) gli ambienti sono abbastanza ricchi di elementi opzionali, come oggetti dell’epoca da maneggiare e di documenti originali da leggere, e la brillante ricreazione degli ambienti del manicomio di Volterra sa da sola invogliare ad approfondire, a cercare, a guardare con attenzione. “The Town of Light” rinuncia a creare reali sottotrame in questo modo (siamo, in generale, lontanissimi dalla qualità di “Gone Home”), ma per esempio riesce a dar voce anche ai medici, mostrandoli non semplicemente come malvagi aguzzini, ma anche come persone partite con le migliori intenzioni e poi costrette dalla carenza di spazio, risorse, possibili cure a trasformarsi dolorosamente in ottusi burocrati.

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Se il mio movimento non fosse unicamente guidato da una voce e dalla magia, la solidità dei luoghi e della loro rappresentazione, solitamente molto buona da un punto di vista grafico, creerebbero un potentissimo senso di luogo e di realtà. O forse no, perché c’è qualcosa di incoerente e stridente anche nel modo in cui il manicomio è ricreato, qualcosa che contribuisce ancora di più a non farmi sentire il luogo come vero: l’ospedale psichiatrico di Volterra è abbandonato dal 1978, ma è ancora pieno di oggetti e questi oggetti sono quelli degli anni 40, dell’epoca raccontata da Renée.

La spiegazione sta, ancora, nel modo in cui “The Town of Light” mescola e confonde realtà, magia e ricordi. Ma il risultato rende l’ospedale psichiatrico rappresentato più come la segherie abbandonata di “Anna” dei Dreampainters (restando in ambito italiano): è un luogo reale trasfigurato al punto di perdere la sua realtà. In “Anna” l’effetto è ricercato dagli autori: la segheria dell’inizio del videogioco è il luogo della ragione, quella della fine è il luogo in cui l’uomo rinuncia alla ragione per incontrare ciò che ragione non è. Non sono convinto che l’effetto sia però voluto in “The Town of Light”: qua gli eventi dovrebbero essere reali e verosimili, non dovrei trovarmi in un mondo di magia. Anche il sonoro, che deriva dal videogioco horror (a cui eppure gli autori non vogliono che “The Town of Light” venga accostato) crea un’atmosfera sovrannaturale, in cui sembra che io debba temere i fantasmi dei pazienti e non quello che ai pazienti veniva fatto in quei luoghi.

The Town of Light – Recensione: L’esplorazione del passato

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Comunque, “The Town of Light” riesce a dar senso ai locali del manicomio, a farmi muovere al loro interno e a farmi capire la loro storia. Lo fa forzatamente e senza alcuna eleganza, trascinandomi qua e là tra stanze e corridoi, ma lo fa e racconta. E il racconto è la sua parte più interessante. Le mie azioni, ho scritto, rievocano magicamente il passato. Attraverso le sale con gli occhi di Renée, attraverso i suoi ricordi. Sono scene fortissime, a volte realizzate con disegni e semplici animazioni, a volte con dolorosissime scene in prima persona, distorte dai farmaci e limitate nell’interattività.

La limitata interattività di questi momenti dà un profondo senso di costrizione, di limite fisico e psicologico che ben rappresenta la situazione di Renée. Attraversare il refettorio, circondata dalle altre pazienti che parlano, mugugnano, camminano, si nascondono, dormono intorno a me. Percorrere la fila per le docce, coi corpi nudi delle mie compagne spaurite, infreddolite, tristi, in un momento che richiama subito le scene dei campi di concentramento. Essere portata in carrozzella, chiusa nella camicia di forza, capace di muovere solo la testa. Se l’esplorazione manca di solidità e i dialoghi di Renée, o di chiunque sia la protagonista del videogioco, mancano di coerenza e hanno un tono esagerato e retorico, le scene del passato vissute in prima persona hanno una potenza reale, hanno dietro un’idea di come si possa raccontare con il videogioco. La sequenza finale, evidentemente una delle più curate del videogioco, è semplicemente indimenticabile. Se avrete lo stomaco di guardarla sino in fondo.

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The Town of Light – Recensione: VR

“The Town of Light” è stato pensato per essere goduto con un visore VR, in Realtà Virtuale, ed è proprio nelle scene ambientate nel passato che si vede la sua vera potenzialità. Lo ho provato in VR durante il Lucca Comics & Games 2015 e i flashback, visti in prima persona senza poter distogliere lo sguardo, acquistano una forza ancora maggiore. Perché sto lì in quel corpo che non può muoversi come vuole ed esistere come vuole così così come io non posso muoverlo come voglio. Perché sono rinchiuso in una gabbia, come era rinchiusa Renée. Il videogioco (come comunemente inteso) è mettersi in un corpo altrui e visitare con questo corpo altri luoghi, e “The Town of Light” sa sfruttare la Realtà Virtuale per rendere questa immedesimazione ancora più totale.

The Town of Light – Recensione: In conclusione…

“The Town of Light” è un videogioco creato con le migliori intenzioni, ma solo parte della realizzazione è capace di concretizzare questi intenti e di valorizzare i temi trattati, che eppure sono importanti e guardati dagli autori con uno sguardo interessante e non banale. La potenza, cruda e sincera, delle parti ambientate nel passato (forza che emerge soprattutto sfruttando il supporto per la Realtà Virtuale) è un pugno nello stomaco, qualcosa che è mi è restato impresso con una rara forza, grazie anche al modo in cui la sottrazione dell’interattività viene usata per rafforzare contenuti e messaggi dei flashback. Ma l’esplorazione dei luoghi e la narrazione che nasce da questa esplorazione sono deboli, incoerenti e confuse, ed esplorare le (ben ricreate) rovine dell’ospedale psichiatrico di Volterra in cui “The Town of Light” si svolge è una vera sofferenza, uno scontro continuo con il design del videogioco. “The Town of Light”, realizzato e prodotto dallo studio italiano LKA, è disponibile su Steam e Humble Store a €18,99.

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