Game Design Week e Playing The Game: intervista a Paolo Branca

Paolo Branca è artista e fondatore della Game Design Week (sito ufficiale) e di Playing The Game (sito ufficiale), organizzazione che si occupa di creare e promuovere libri ed eventi dedicati al videogioco in tutte le sue forme, con una particolare attenzione al suo incontro con altri medium e arti e con la società e la sua cultura. Durante il Game Happens! a Genova (24 e 25 giugno 2016) Branca ha parlato proprio di queste iniziative in un incontro intitolato “Video Games outside Their Comfort Zone”, raccontando come a partire da Playing The Game ha lavorato per portare il videogioco fuori dai suoi soliti ambienti e proporlo a un pubblico più ampio, e ho approfittato dell’occasione per approfondire con lui la storia della sua organizzazione e dei suoi eventi. Quella che segue è la trascrizione, solo leggermente editata, della chiacchierata che io e Branca abbiamo fatto nei giardini di Villa Bombrini in cui il Game Happens! si svolgeva.

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Paolo Branca. [Fonte immagine: Game Happens!]

Playing The Game: come è nato

WEBTREK: Mi interessano le iniziative che curi in Italia sul videogioco. Su Webtrek abbiamo affrontato la Game Design Week [ne ha parlato Sofia Abatangelo in questo articolo], puoi farci una panoramica sulle vostre iniziative, sia di quelle editoriali sia dei festival? PAOLO BRANCA: Parto dal principio. La prima iniziativa è nata nel 2012 ed è stata finanziata dalla provincia di Milano e dalla camera di commercio. Quindi, ufficialmente Playing the Game è nato nel 2012 con questo evento gratuito che abbiam fatto in una galleria d’arte, lo Spazio O, che si dedica all’arte contemporanea e che fa anche dei progetti di residenze artistiche, si occupa anche di finanziare progetti di musicisti e soprattutto fa molte iniziative in cui vengono create opere artistiche specifiche per lo spazio. Volevamo portare il videogioco in un contesto inusuale che fosse diverso dalle fiere convenzionali che son frequenti in Italia e in tutto il mondo. In Italia soprattutto ci son tantissime fiere, qualsiasi città di medie dimensioni ha la sua fiera di fumetto e videogioco.

WEBTREK: Io [Matteo] vivo vicino a Pisa e abbiamo l’esempio spettacolare del Lucca Comics & Games, a proposito. PAOLO BRANCA: Le altre fiere hanno visto che il Lucca Comics funziona, fa trecento mila visitatori che è una cosa gigantesca, che neanche le fiere di videogiochi americane, il PAX, fanno. Da questo punto di vista noi italiani abbiamo molto pubblico che segue queste cose. Dall’altro punto di vista c’è un po’ il bisogno di creare un qualcosa che non sia solo per chi i videogiochi già li conosce ma anche per chi ai videogiochi non si è mai veramente accostato e allora abbiam deciso di fare questo evento di carattere più artistico che è arrivato nel 2012. Ma Playing The Game, come nome e come concept, era nato nel 2010. Ci sono stati due anni molto difficili in cui non siamo riusciti a trovare qualcuno che credesse nel progetto e che gli desse un minimo di sostenibilità economica per farlo con tutto il rigore e la dignità che deve avere un discorso di questo tipo.

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Playing The Game 2012

Playing The Game 2012: Showcase

Nel primo evento c’erano giù tutte le attività che poi abbiamo sviluppato negli altri successivi quattro cinque anni. C’era una parte di showcase di videogiochi indipendenti con dei giochi che venivano da sviluppatori americani, ci avevano mandato build non ancora pubblicate dei giochi, e questa parte la abbiamo fatta curare, come se fosse una mostra, dai Santa Ragione. E questo veniva dalla loro mostra che si chiamava Spatial Narrative, che avevano fatto a Sidney, e avevano proposto qualcosa in continuità con questa cosa. Poi abbiamo inserito anche gli sviluppatori italiani, abbiamo voluto fare qualcosa che fosse anche per la comunità locale degli sviluppatori, perché una delle nostre finalità è sviluppare il contesto territoriale. Abbiamo chiamato degli studenti che hanno presentato i prototipi e soprattutto hanno presentato loro stessi, la loro passione, i loro obiettivi. È ovvio che degli studenti abbiano dei prototipi che qualitativamente non sono delle bombe (sono un work-in-progress) e ci interessavano quindi più le persone che il prodotto, non stavamo ragionando sul prodotto ma sulla scena, sul fatto di portare le persone insieme e farle parlare tra di loro e magari far loro sviluppare meglio dei progetti futuri.

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E poi avevamo studi indipendenti e singoli, come Michele Caletti di Milestone, che non aveva ancora rilasciato ma stava lavorando al suo gioco come indipendente [“The Waste Land”, un metroidvana ispirato al poema omonimo di T.S. Eliot e che consiglio a chi di voi è appassionato del genere e può tollerare qualche sbavatura], avevamo i ragazzi di “Doom & Destiny” che dopo sono esplosi su console. Il loro ora è un business che funziona, molto spesso chiamano collaboratori, ma allora erano in fase di startup. Abbiamo fatto una ricerca per trovare le realtà che si trovavano sul territorio e si stavano occupando di giochi sul territorio, ed era una cosa abbastanza pionieristica nel 2012 perché in Italia non ci risulta ci fosse altro.

Playing The Game 2012: Game art

Poi con l’aiuto di Matteo Bittanti abbiamo fatto la parte di game art, la parte di arte contemporanea applicata ai videogiochi, in cui c’erano opere sia di Matteo Bittanti stesso sia di Shinji Murakami, un artista giapponese che vive a New York e ci ha mandato delle opere fatte appositamente, delle stampe su piastrella basate sul Parco Sempione di Milano (aveva già fatto in precedenza il Central Park di New York). E poi Marco Mendeni TonyLight. Ho partecipato anche io, che ho un progetto artistico col nome di VjVISUALOOP con cui ho fatto dal 2005 sia performance con audiovisivi, con video che creo io a 8 bit a risoluzioni basse e poi monto in tempo reale, accosto a delle musiche, sia installazioni interattive create modificando cabinati facendo in modo che si possa interagire con l’opera d’arte (sempre basata sugli stili dell’8 bit) attraverso l’interfaccia classica dei giochi che è quella dei cabinati, sia video mapping su edifici architettonici facendo sempre dioventare interattive superfici di un edificio.

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Playing The Game 2012: Homebrew

Sempre all’interno di questo evento c’era la parte di homebrew con giochi sviluppati adesso su console del passato e questa parte la ha curata un nostro amico che si chiama Lucio Campani. Sin dall’inizio abbiamo cercato varie contaminazioni tra varie discipline diverse e poi soprattutto ci siamo affidati a dei curatori, persone esperte di un tema specifico che potessero dare la loro esperienza e il loro punto di vista facendo in modo che però nessuno sovrastasse gli altri ma facendo parlare cose diverse, che è un concetto a cui teniamo molto.

Playing The Game 2014: Textural Videogames

Quindi abbiamo continuato questo percorso con diversi curatori, come per esempio Filippo Lorenzin che è un curatore che vive a Londra che ha curato Textural Videogames che è la mostra che abbiamo fatto al Pirelli HangarBicocca che è uno dei luoghi principali in Italia per la cultura e il dialogo tra le discipline e  quindi anche per l’arte. È stata la prima e ultima volta in cui all’interno di quello spazio sono entrati i videogiochi e abbiamo fatto una mostra di venti giochi giocabili dal 1985 sino ai giorni nostri che andavano oltre i criteri tradizionali del videogioco. Per esempio, per i giochi contemporanei avevamo “The Graveyard” dei Tale of Tales, ma per quanto riguarda i giochi classici avevamo giochi molti diversi tra di loro. Non era l’idea di presentare dei giochi artistici ma di presentare dei giochi in cui non ci fosse forte la suddivisione in livelli, i nemici… l’idea era quella di presentare giochi che non erano incentrati su punteggi e abbattimento di nemici ma su altre dinamiche. Ma su questo c’è di tutto in realtà.

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WEBTREK: Per esempio “The Sims”. PAOLO BRANCA: Senza dubbio. Noi “The Sims” non lo abbiamo avuto ma abbiamo deciso di mettere “Animal Crossing” che in qualche modo è simile. Poi abbiamo avuto “Little Computer People”, che era il gioco più vecchio che avevamo in showcase che è dell’85 ed è basato sul creare una relazione tra il giocatore e il personaggio non giocante, quasi un rapporto, un legame. E poi abbiamo avuto altri giochi come “Moneky Island” che è un’avventura grafica perché ci piacava mettere dentro un titolo che potesse essere rappresentativo anche delle avventura grafiche.

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WEBTREK: Per anni le avventure grafiche e le avventure testuali hanno rappresentato lo spazio del videogioco narrativo. PAOLO BRANCA: Sì, come vedi erano giochi però molto diversi l’uno dall’altro. Questo lavoro noi lo abbiamo completato con un libro, “Textural Videogames: Universi per un’esperienza emozionale” [qui], che ha raccolto una serie di saggi di personalità internazionali che hanno parlato di questa tematica, ognuno dal suo punto di vista, e in più abbiamo fatto anche le interviste ai sette sviluppatori indipendenti i cui giochi erano presenti in showcase: Tale of Tales, ceMelusine, Ed Key (“Proteus”)… siamo stati molto soddisfatti di questa iniziativa, il libro lo abbiamo pubblicato e si trova anche su Amazon [qui] sia in italiano sia in inglese, è un lavoro che ci ha permesso di iniziare a fare delle pubblicazioni.

Playing The Game: Nativi videoludici

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Io già avevo pubblicato un libro con Feltrinelli su “Super Mario” (“Super Mario. L’icona Nintendo e i suoi mondi”), un classico dei classici per quanto riguarda il videogioco, con Playing The Game abbiamo cominciato una collana editoriale e adesso siamo al secondo volume, “Nativi videoludici: quella strana nostalgia per gli anni Novanta” [lo trovate qui] e parla dei videogiochi all’interno degli anni 90. Ma non visti dal punto di vista consumistico o della storia dei videogiochi, ma più visti dal punto di vista effettivo: il videogioco come qualcosa di investito di affetto. Abbiamo intervistato i ragazzi nati all’inizio degli anni 90 che hanno raccontato il loro rapporto col videogioco sino all’età adulta e molte di queste persone sono persone con cui noi adesso stiamo collaborando perché sono sviluppatori a loro volta e abbiamo avuto sette testi, un po’ di insider del settore, gente con età anagrafica un po’ più alta (non ventenni ma quarantenni) che ci hanno raccontato il loro punto di vista sugli anni 90. E anche dei saggi critici, abbiamo avuto Francesco Toniolo, Lucio Campani che ci ha fatto un’analisi sull’evoluzione dei generi videoludici negli anni 90 e Andrea Peduzzi che si occupa di videogiochi soprattutto  nelle scuole (istituti, licei…) che ci ha parlato degli anni 90 partendo dall’analisi di “Gone Home”, che è ambientato negli anni 90 e mette in rilievo come negli anni 90 ci siano dentro gli anni 70, quindi un ritorno ciclico delle mode.

WEBTREK: Ho sempre trovato interessante il confronto tra “Gone Home” e “Sunset” dei Tale of Tales perché hanno un sacco di punti in comune, non solo perché le epoche hanno dei collegamenti, ma anche perché hanno la stessa idea di fare un certo tipo di gioco raccontando un certo decennio a noi vicino. Il primo racconta gli anni 90, il secondo racconta i 70. PAOLO BRANCA: Questa degli anni 70 è una fascinazione che vedo è venuta fuori in “Sunset”, in “Wheels of Aurelia”… è qualcosa che probabilmente i giochi più mainstream non tengono molto in considerazione. È più presa in considerazione dal cinema e i prodotti più alternativi trovano negli anni 70 qualcosa di affascinante.

WEBTREK: È un territorio inesplorato, c’è un sacco di materiale politico in quel periodo ed è pericoloso toccarlo. Si va dalla rivoluzione iraniana ai colpi di Stato in America Latina agli anni di piombo al punk… Ma torniamo alla seconda raccolta di Playing the Game, “Nativi videoludici”. PAOLO BRANCA: I progetti editoriali non sono semplicemente dei libri: fanno parte degli eventi, sono quasi i cataloghi di una mostra. Anche a “Nativi videoludici” noi ci siamo arrivati facendo l’incontro con Rick Gush, designer e sceneggiatore di “Dune 2” di Westwood Studios, di “Kyrandia” la serie di avventure grafiche… ha lavorato a “Command & Conquer”… un personaggio importante per la storia dell’evoluzione del videogioco negli anni 90. E abbiamo fatto un incontro con lui, aperto al pubblico e gratuito e poi abbiamo fatto delle aree gioco. Alla Milan Games Week avevamo un’area gioco dedicata solo ai giochi anni 90, sia PC che console. La parte anni 90, così come il discorso dei Textural Videogames non si esaurisce nel libro ma è in continuità con gli eventi.

Game Design Week

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WEBTREK: Quali sono ora i vostri eventi? Avete la Game Design Week [qui qualche informazione in più] all’interno della Design Week di Milano per esempio. PAOLO BRANCA: La prima Game Design Week è stata nel 2016 ed è andata molto bene e la ripeteremo e stiamo lavorando molto su questa cosa perché vogliamo farla crescere molto. Ha avuto un ottimo riscontro, quasi tutte le conferenze sono andate esaurite abbiamo avuto Chris Solarski che è uno sviluppatore e un accademico, abbiamo avuto Spartaco Albertarelli che invece è famosissimo per quanto riguarda i giochi da tavolo e ha pubblicato più di 130 giochi nell’arco della sua carriera, è la massima personalità, il massimo esperto italiano per quanto riguarda il game design. Abbiamo avuto un workshop per bambini, momenti di videogame showcase con gli indipendenti, abbiamo avuto più di una conferenza… direi una lecture durata una mattina intera… sul metodo di lavoro all’interno di Milestone, quindi dentro la principale azienda di videogiochi italiani, dal punto di vista dell’art director. L’art director ci ha spiegato tutto il processo di lavoro e tutte le fasi lavorative come vengono affrontate all’interno dell’azienda quindi un valore anche forte per chi vuole accostarsi a questo lavoro.

WEBTREK: Una GDC italiana in pratica. Voi pensate di far confluire tutti i vostri sforzi sulla Game Design Week? PAOLO BRANCA: Noi ci stiamo spendendo tantissime energie perché crediamo che possa avere un suo spazio internazionale. Per far sì che non sia semplicemente una GDC ma si focalizzi sull’aspetto di progettazione, di design, che è un po’ l’italianità che ci contraddistingue. Le idee.

Workshop al TOdays Festival

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WEBTREK: Quale è il vostro prossimo evento? PAOLO BRANCA: Il nostro prossimo evento è il 26, 27, 28 di agosto a Torino, abbiamo un workshop gatuito [questa è la sua pagina evento Facebook] sulla realizzazione di un prototipo, ha una finalità pratica insomma, basato sull’immaginario di John Carpenter (“La cosa”, “1997: fuga da New York”, “Halloween”). WEBTREK: Quello coi film con le persone chiuse da qualche parte e qualcuno che vuole entrare e ucciderle. Ha sempre questa immagine dell’assedio. PAOLO BRANCA: Sì, anche “Distretto 13” è basato su questo. Lui è un grande appassionato di cinema classico americano nel senso di cinema di genere, di western. I cowboy sono sempre presenti in qualche modo nei suoi film però sono trasmutati in altre cose, nel Kurt Russel “Jena” Plissken di “Fuga da New York” (che in realtà in America si chiama “Snake” Plissken perché “Hauk”, il falco, è il suo antagonista). Noi lo faremo durante un festival veramente molto grande di musica che si chiama “TOdays festival” voluto alla Fondazione Città di Torino e John Carpenter è ospite in questa manifestazione e quindi noi sfruttiamo questa suggestione per fare questa iniziativa.

WEBTREK: Carpenter ha fatto un CD di recente, un annetto fa. PAOLO BRANCA: Sì ha pubblicato un CD, ha creato una band con il figlio. Tranne che per “La cosa” che ha musiche di Morricone, lui negli altri suoi film ha composto ed eseguito anche le musiche e quindi adesso ha creato una band che riarrangia le musiche classiche dei suoi film e suona delle composizioni nuove. E mi sono stupito della qualità di questo lavoro perché non è così scontato che quando una leggenda, un settantenne, si ributta nella produzione musicale poi faccia qualcosa di buono, e invece è qualcosa che funziona come arrangiamenti come tutto quanto.

WEBTREK: L’esempio nei videogiochi è Uematsu di “Final Fantasy”, quando ha messo su la band, i Black Mages, in cui riarrangiava i pezzi della serie. Era la bellezza di vedere quelli che un tempo erano magari i midi di “Final Fantasy 2” ripresi venti anni dopo e rifatti con un gruppo musicale, in un concerto, e vedere la dimensione orchestrale di certe cose. Certe musiche dei videogiochi oggi ci sembrano delle musichette, si perde quella complessità che un tempo trovavamo per esempio in un midi (in “Final Fantasy 6” c’è persino un’aria di opera lirica), e in quel modo riacquistano il valore che avevano, ritrovano una dimensione attuale che hanno perso con l’età.

PAOLO BRANCA: Questo è il nostro evento più prossimo, ed è gratuito, abbiamo un form online [lo trovate qui] ed è possibile registrarsi e faremo una selezione per avere un gruppo di persone bilanciato per fare un prototipoWEBTREK: Che preparazione cercate? PAOLO BRANCA: Non richiediamo conoscenze tecniche, abbiamo già iscritti che sono programmatori, compositori, grafici… WEBTREK: Ma comporrete delle squadre? PAOLO BRANCA: Pensiamo di fare una build sola: un gruppo piccolo che farà una build sola. Dalle cinque alle dieci persone, anche per lo spazio fisico che abbiamo in questa galleria d’arte di Torino che ci è stata data per fare questa attività e cercheremo di creare un gruppo bilanciato. Sappiamo che verranno degli studenti di illustrazione dell’Istituto Europeo di Torino e quindi avremo una parte visuale molto importante e pensiamo di lavorare su giochi narrativi, un digital story book, un romanzo ramificato a nodi in cui partiremo dagli spunti della cinematografia di John Carpenter per farli nostri e creare qualcosa di nuovo.

[Fonti immagini: playing.vg, Playing The Game su Facebook]

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