Triennale Game Collection: questo (non) è un videogioco – Il mondo di Sofia

Triennale Game Collection è una mostra virtuale che raccoglie opere di autori importanti della scena videoludica indipendente contemporanea (qui il bell’articolo di Matteo pubblicato in occasione della sua uscita). Cinque brevi videogiochi sono stati realizzati appositamente e sono stati pubblicati gratuitamente – uno ogni sette giorni – attraverso un’app per dispositivi mobili che sostituisce il luogo fisico dello spazio espositivo e mette l’opera completamente nelle mani del pubblico. È un’operazione assolutamente interdisciplinare che a mio parere non può essere analizzata correttamente utilizzando solamente gli strumenti critici inerenti al linguaggio videoludico ma nemmeno è possibile parlarne ignorando la struttura del medium stesso. Questo sia per via della particolarità dell’operazione curatoriale e della forma di esposizione e fruizione, sia per la natura stessa delle opere presentate che si situano nella linea di confine tra videogioco e arte contemporanea. Qui i link per scaricare l’app su app store e google play.

Triennale Game Collection Il Filo Conduttore
Il Filo Conduttore – Mario von Rickenbach e Christian Etter

Triennale Game Collection: una mostra in un’app

L’app riflette la scelta di abbandonare l’esposizione fisica ma allo stesso tempo di non rinunciare ad un’operazione curatoriale (realizzata da Santa Ragione); inoltre non si tratta di una selezione di lavori già esistenti ma di opere realizzate appositamente. La scelta è caduta su soggetti già protagonisti di sperimentazioni importanti in campo videoludico e i cui lavori forzano la natura ludica del videogioco per privilegiarne la forza espressiva, permettendosi di utilizzare le meccaniche di interazione e costruzione spaziale tipiche del videogioco in modo libero e sperimentale, sottraendole alle funzioni classiche e arricchendole di nuovi significati. Degli artisti a pieno titolo che si cimentano con un medium dalle grandi possibilità e in constante evoluzione.

Triennale Game Collection Il Filo Conduttore L.O.C.K.
L.O.C.K. – Tale Of Tales

È proprio dalla natura stessa del medium che deriva la possibilità di creare uno spazio espositivo virtuale: la riproducibilità su dispositivi che gestiscano sia opera che interazione con l’utente permette di creare attraverso l’app uno spazio all’interno del dispositivo stesso. È un’operazione curatoriale in cui l’impronta esterna è ridotta ai minimi termini lasciando che sia l’opera a parlare per sè stessa, ma dando una omogeneità alle informazioni tramite un menù comune.

Triennale Game Collection – dal videogioco all’opera videoludica

Le opere presentate sono inscrivibili a pieno titolo nell‘arte contemporanea. Non si tratta assolutamente di un giudizio di valore, anzi, e trattandole esclusivamente come giochi sarebbero assolutamente insoddisfacente: esse utilizzano il linguaggio e gli strumenti del videogioco per fare altro, per essere altro, opera d’arte appunto. Che venga privilegiata la componente visuale, l’aspetto autobiografico, il contenuto emotivo o la riflessione sulla natura del medium, il gameplay passa assolutamente in secondo piano diventando lo strumento attraverso cui l’opera viene fruita ma anche generata. In questo il videogioco dimostra di non avere minor potenziale rispetto ad altri linguaggi, di poter essere sapientemente utilizzato al servizio di un’idea, di una comunicazione, di un’espressione artistica, di potersi prestare ad essere un linguaggio innovativo così come prima di lui il video, la performance e l’installazione.

Triennale Game Collection Il Filo Conduttore Neighbor - Cardboard Computer
Neighbor – Cardboard Computer

Ma questi lavori si possono ancora definire videogiochi? Secondo me sì, possono e debbono essere considerati videogiochi: la struttura, le meccaniche, il supporto e i meccanismo di fruizione sono quelli tipici del medium videoludico. Sono opere che non esisterebbero senza il linguaggio, la tecnologia, la storia e la cultura del videogioco, opere che sfruttano l’interattività per svilupparsi, per generare senso, per creare meraviglia e per aprirsi a nuovi immaginari. Il videogioco, come il cinema prima di lui, è un linguaggio che si sta evolvendo e diversificando sempre di più e non ha senso a mio parere perdersi in sterili discussioni e classificazioni di cosa sia il “vero” videogioco. Lungometraggio, cortometraggio, videoarte, pubblicità, videoclip, documentario: sono tutti generi del linguaggio cinematografico che si sono evoluti dalla stessa tecnologia. Credo che anche per il videogioco possa valere la stessa cosa, che si possa parlare di linguaggio videoludico e di medium videoludico; linguaggio e medium che non necessariamente debbano restare vincolati alla logica di un game con regole e obiettivi definiti ma possano prestarsi a un più libero e istintuale play, il gioco dei bambini, della meraviglia ma anche del teatro e delle arti in generale.

Triennale Game Collection: le opere

“Il Filo Conduttore” di Mario von Rickenbach e Christain Etter – si sente lo squillo di un telefono e una sfera rossa attaccata a una cordicella cade improvvisamente dall’alto: tirandola inizia a svelarsi una macchina magica fatta di palline e oggetti che sembrano uscire da una natura morta che è a metà tra la sensualità di un Caravaggio e il minimalismo di un Modigliani. Ed è tutto un gioco di sorpresa e stupore, di oggetti che compaiono, scompaiono, si muovono e si trasformano generando una narrazione non verbale e nonsense con un bellissimo finale alla Georges Méliès.

“Locis Omnis Caelesistis Kyries” (L.O.C.K.) dei Tale of Tales – è un caleidoscopio che racchiude l’universo come nella cosmogonia cristiana tradizionale. Al centro la terra, poi l’aere, i pianeti, le stelle. Come in un caleidoscopio bisogna imprimere un moto circolare, e come in un caleidoscopio le immagini, geometriche e simmetriche, si trasformano. La musica è ben curata e suggestiva e contribuisce al pari delle immagini a creare un’atmosfera onirica, misteriosa e sacrale allo stesso tempo. L.O.C.K. è un’illustrazione interattiva, un’artefatto ipnotico in cui perdersi ed emozionarsi, è un viaggio circolare che non ha inizio né fine.

Triennale Game Collection Il Filo Conduttore A Glass Room - Pol Clarissou
A Glass Room – Pol Clarissou

“Neighbor” di Cardboard Computer – è il più simile a un videogioco classico. L’interfaccia è “punta e clicca”, c’è un avatar – stivaloni, cappello e poncho – che si trova in un deserto, in una casa geometrica che quasi un tempio, che può esplorare, raccogliendo oggetti che possono essere combinati, offerti, riposti in una cassa a futura memoria. E c’è il vicino che ogni tanto compare e si ferma a chiacchierare. Il minimalismo dell’opera carica ogni piccola azione di significato e genera un profondo senso di solitudine. Il vicino è l’unico contatto umano, l’unica interazione al di là dell’oggetto inanimato.

“A Glass Room” di Pol Clarissou – una stanza si riempie di immagini, ricordi, diapositive proiettate in uno spazio bianco. Si susseguono, con una meccanica di esplorazione spaziale che crea un labirinto in cui le connessioni sono a volte geografiche, a volte emotive. Siamo a caccia: un’icona in basso allo schermo cambia quando troviamo i posti giusti per poterci sintonizzare con il dispositivo al centro dello schermo; alla ricerca di concetti che compariranno, una volta trovata la giusta sintonia, in delle stanze segrete. Un viaggio ipnotico in un mondo di memorie azzurre e sbiadite, personali e al tempo stesso universali, con un linguaggio criptico che mi ha ricordato il primo “Myst”.

“The Worm Room” di Ketie Rose Pipkin – quest’opera porta all’estremo il concetto di walking simulator. E’ un sentiero infinito in un giardino generato proceduralmente in cui non si può fare nulla se non camminare avanti e guardarsi intorno. Le variazioni sono lente, minime. Se si ha la pazienza di avanzare per qualche minuto si verrà catturati: ogni minimo cambiamento verrà notato e si caricherà di senso facendo entrare il giocatore in uno stato quasi meditativo.

Triennale Game Collection Il Filo Conduttore The Worm Room - Katie Rose Pipkin
The Worm Room – Katie Rose Pipkin

“Il mondo di Sofia” è la rubrica della sviluppatrice indipendente Sofia Abatangelo su Webtrek. Ne “Il mondo di Sofia”, Sofia racconta i suoi videogiochi, i festival e le opere altrui non come giornalista o critico ma attraverso gli occhi dell’autrice e dell’artista. Trovate i giochi di Sofia sulla sua pagina di itch.io, piattaforma di distribuzione digitale, e trovate qui una sua lunga intervista di presentazione in cui Sofia si racconta come videogiocatrice e come sviluppatrice.

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