Amy Hennig, creatrice di Uncharted, dice la sua sull’industria videoludica

Amy Hennig, creatrice di Uncharted per Naughty Dog e poi di un gioco di Star Wars (cancellato) per Visceral Games e EA, e Sean Vanaman di Campo Santo (Firewatch) sono protagonisti di una lunga e interessante conversazione pubblicata su Polygon e riguardante il futuro dell’industria del videogioco e questioni più personali, la difficoltà con cui Hennig, superati i 50 anni di età, affronta la cancellazione di un suo gioco. Quanti giochi le restano da realizzare sino alla fine della carriera? Quante ultime occasioni sta perdendo?

Anche questo è legato all’evoluzione di un’industria dai costi sempre maggiori e in cui è sempre più pericoloso per un produttore prendersi rischi, mentre i giochi diventano tanto complessi da assorbire tutte le energie degli sviluppatori già con i soli aspetti tecnici. “Spendi tanto tempo solo a combattere contro la tecnologia [quando fai giochi tanto grandi] invece che a risolvere i problemi centrali del tuo design” dice Hennig.

“Penso che siamo a un punto di svolta. Ovviamente quello che è successo al nostro progetto di Star Wars non è arrivato dal nulla. Sono stati scritti un sacco di articoli troppo tragici a riguardo, sulla morte dei videogiochi dalla storia lineare e quel genere di cose, ma c’è un problema reale e il problema è quella strada che abbiamo percorso per anni, con l’aumento dei costi di sviluppo e il crescere dei desideri, delle richieste, dei giocatori in termini di ore di gioco, realismo, qualità della produzione, modalità aggiuntive e tutte quelle cose. Tutte queste spinte vengono interiorizzate. Se ti costa… metti 100 milioni di dollari o più… fare un gioco, come riesci a recuperare la spesa e a creare profitto?

E il prezzo a sessanta dollari non può cambiare vero? La stampa è molto negativa su monetizzazione, loot box, giocoservizi eccetera ma quelle cose sono di moda ora nell’industria, soprattutto nei grandi produttori, perché sono una risposta ai costi sempre più alti dello sviluppo. I costi aumentano, l’asticella viene alzata, e diventa sempre meno sensato fare questi giochi.

Ora c’è anche il fatto che anche se le persone protestano, se ti chiedono perché stai cancellando un gioco lineare e basato sulla storia, dicendo che sarebbe un gioco che comprerebbero, in realtà non lo comprerebbero davvero. Lo guarderebbero giocare da qualcun altro online.” È un problema che Hennig si pone ripetutamente nella discussione. “Penso che ci sia una grande differenza tra il tripla A mainstream e l’indie, chi percorre la strada dell’auto-produzione. Quando stai spendendo milioni su un gioco basato sulla storia che potrebbe non essere percepito come qualcosa di valore nel tempo, oltre una sola partita, ti chiedi se qualcuno lo comprerà o se semplicemente si limiteranno a vederlo giocare.”

E invece i costi a cui Hennig è abituata sono tanto grandi da obbligare a vendere enormi quantità di copie. “Nella mia esperienza, dovevamo vendere almeno cinque [milioni] appena al lancio, e poi otto o nove andando avanti. E questi sarebbero stati risultati ancora solo modesti.” A questo Vanaman non ha però problemi a rispondere. “Giusto, ma allora perché qualcuno dovrebbe comprarlo invece che rubarlo? È uguale. Penso che non ci siano dati che sostengano queste posizioni.

È molto facile per l’editore nascondersi dietro a queste cose per poter dire che dovrebbero fare un gioco come Overwatch. E sai che c’è? Lo facciano. Non abbiamo problemi. C’è un grande grande mercato senza competizione e ne siamo felici, siamo davvero contenti che voi del tripla AAA non facciate niente che possa competere con Firewatch.”

fonte Polygon
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