BioWare è preoccupata della disinformazione su EA diffusa dagli YouTuber

Kotaku ha pubblicato un interessante reportage sullo sviluppo di Anthem, il videogioco sparatutto con multiplayer online a mondo condiviso (in stile Destiny o The Division) di BioWare ed Electronic Arts. L’articolo racconta uno sviluppo lungo e difficile, anche a causa dei soliti problemi causati dal motore Frostbite, ma che finalmente avrebbe trovato la sua giusta direzione.

C’è però molta pressione su BioWare. Mass Effect Andromeda non ha avuto il successo sperato e il risultato è stata la chiusura di BioWare Montréal e la sua fusione con Motive, altro studio di Montréal di Electronic Arts, la polemica sulle loot box di Star Wars Battlefront 2 ha riempito gli sviluppatori di dubbi sulle micro-transazioni da inserire in Anthem e i problemi di Destiny 2 fanno temere a BioWare di trovarsi in condizioni simili dopo il lancio del loro videogioco.

La cultura degli YouTuber contro EA

A questo si aggiunge, secondo la testimonianza di due delle fonti di Jason Schreier di Kotaku, la pressione dovuta all’opinione pubblica. Secondo queste due fonti “qualche grande YouTuber ha diffuso disinformazione e discorsi retorici su Electronic Arts pensati per infiammare gli animi del pubblico”, demoralizzando così anche tutti gli sviluppatori della compagnia.

Queste persone descrivono Electronic Arts “non come un freddo padrone corporativo ma come una complicata macchina che certamente è preoccupata per prima cosa e soprattutto di generare profitto per gli investitori ma che supporta anche migliaia di persone in molti modi più o meno tangibili.” Secondo persone vicine a BioWare e altri sviluppatori con cui Schreier ha parlato la rappresentazione di Electronic Arts fatta dagli YouTuber la ha resa invece un cattivo da film Disney.

La tossicità dell’opinione pubblica è un problema sollevato negli scorsi mesi da Charles Randall, che ha lavorato proprio a BioWare (oltre che a Ubisoft). Secondo Randall gran parte della segretezza che vediamo nello sviluppo dei videogiochi è dovuto alla tossicità dell’opinione pubblica, all’impossibilità che gli sviluppatori hanno di esporsi candidamente senza essere attaccati.

Randall stesso aveva per questo criticato “la cultura degli YouTuber”, di cui abbiamo anche noi in Italia dei fieri esponenti come per esempio il canale Quei due sul server, dove lo sviluppo dei videogiochi e gli sviluppatori vengono continuamente attaccati senza ragione e con obiezioni risibili dovute alla completa ignoranza in materia di RedeZ e Synergo (come si firmano i due fondatori di Quei due sul server).

“Qualche settimana fa ho tenuto un discorso pubblico davanti a una stanza piena di bambini di tutte le età e dopo un bambino è venuto da me e si è messo a parlarmi. E, non vi prendo in giro, questo bambino che credo avesse tra i 13 e i 16  anni si mette a parlarmi di quanto siano pessimi gli sviluppatori a causa di uno YouTuber che segue. C’era la lista completa: ha citato i cattivi motori di gioco, l’essere avidi, qualsiasi cosa immaginiate.”

Racconto e promozione

Naturalmente ci sono delle differenze da fare. Per esempio: i videogiochi cambiano spesso durante lo sviluppo, perché si tratta di anni di lavoro in un mondo anch’esso in cambiamento, e gli sviluppatori hanno paura di parlare troppo presto delle loro opere perché temono di essere poi attaccati quando avverrà qualche cambiamento. Guardate tutte le discussioni che ci sono sul downgrading, cioè su giochi che vengono prima pubblicizzati con una certa qualità grafica e poi pubblicati con una qualità inferiore.

Ma, proprio a questo proposito, la parola importante è “pubblicizzati”. Il confine tra racconto di uno sviluppo che può poi cambiare anche strada e la promozione di un gioco con informazioni false può essere sottile. Alcuni giochi perdono caratteristiche già annunciate a un certo punto perché gli sviluppatori si rendono conto di non poterle realizzare nel modo giusto, ma il problema sorge quando il cambiamento non viene annunciato e, anzi, lo sviluppatore continua a mostrare e raccontare caratteristiche che sa che non saranno presenti nel gioco finito, come accaduto per No Man’s Sky o con la falsa demo di gioco di Alien Colonial Marines.

Il videogioco come industria

Allo stesso tempo, chi lavora in Electronic Arts si trova nella stessa posizione di chiunque lavori in una grande industria: ci troviamo sempre di fronte a macchine complesse che pongono questioni complesse. Pensate per esempio all’Ilva di Taranto, un mostro che ha distrutto una città per massimizzare i profitti del Gruppo Riva ma che ha contemporaneamente nutrito e cresciuto la città stessa e ha prodotto l’acciaio per una nazione a partire dagli anni Sessanta.

Aumento folle dei costi di produzione, difficoltà a coprire questi costi con nuovi sistemi di monetizzazione, continuo aumento delle richieste da parte dei giocatori, continuo aumento delle pretese in termini di profitto di dirigenti e investitori, abbattimento dei costi con la cultura del crunch (orari lavorativi che possono arrivare a ottanta ore settimanali), spostamento degli studi in zone fiscalmente agevolate o con costi del lavoro più bassi. Sono queste alcune delle questioni che l’industria del videogioco si sta ponendo, e alcune sono comuni a tutto il mondo del lavoro.

La differenza è che solo poche industrie attirano la passione dei loro consumatori come quella videoludica, e il loro denaro. Il videogioco è la prima industria dell’intrattenimento al mondo come incassi e non ci sono interi canali YouTube con seguiti di centinaia di migliaia di persone quasi interamente dedicati ad attaccare, per esempio, l’Ilva di Taranto, mentre nel cinema e nel fumetto pochi marchi attirano altrettanta passione (uno di questi è Star Wars, che i fan considerano praticamente una loro proprietà).

È una veterana del videogioco come Amy Hennig, creatrice di Uncharted, a descrivere questa industria come ormai bloccata in una situazione non più sostenibile, una situazione che obbligatoriamente dovrà cambiare.

fonte Kotaku
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