Il Parlamento Europeo boccia la nuova direttiva-bavaglio sul copyright online

Il Parlamento Europeo nella seduta plenaria di oggi 5 luglio 2018 ha bocciato, 318 voti contro 278, le nuove e contestate norme sul copyright. Tecnicamente, ha bocciato l’avvio dei negoziati tra Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea (cioè con gli Stati dell’UE) sul testo approvato dal Comitato Affari Legali del Parlamento Europeo (JURI) il 20 giugno, cioè sulla base di quella che sarebbe dovuta essere la nuova direttiva sul copyright e che avrebbe avuto effetti nefasti sul funzionamento stesso di internet come lo conosciamo oggi e sulla libertà di espressione dei cittadini europei.

La norma era stata duramente contestata da GUE (Sinistra europea), dall’EFDD (Europa della Libertà e della Democrazie Diretta) e da parte dei Verdi. M5S, con tutti i problemi che ha (tra cui essere un partito sostanzialmente di proprietà di un’azienda a conduzione familiare), ha sempre mostrato una certa attenzione per i diritti dei cittadini su internet e aveva promesso di opporsi alle nuove leggi mentre il PD, storicamente legato ai grandi gruppi editoriali che hanno voluto la norma, si era espresso a favore, anche contro il parere di altri componenti del suo gruppo europeo.

La norma prevedeva due articoli considerati pericolosi per la libertà di espressione online: l’articolo 11, detto “link tax”, e l’articolo 13.

L’articolo 11, creatura della pressione dei grandi gruppi editoriali europei sul Comitato Juri, avrebbe imposto un pagamento del diritto d’autore su alcuni tipi di link, gli snippet, quelli con anteprima che vediamo per esempio su Google e Facebook. Quindi Facebook non avrebbe più potuto pubblicare, per esempio, lo snippet di un articolo tratto da La Repubblica senza accordarsi con il quotidiano e pagare una “tassa” su questo contenuto, come Google non avrebbe più potuto aggregare notizie in Google News senza stringere accordi con le testate.

Era una norma che, per far arrivare qualche soldo in più ai grandi gruppi editoriali, limitava e ostacolava la circolazione delle notizie danneggiando gli editori stessi senza portare vantaggi alle piccole realtà, che avrebbero semplicemente dovuto accettare di non essere pagate da Google e Facebook per continuare a essere presenti sulle loro piattaforme e non sparire.

L’articolo 13 era potenzialmente ancora più pericoloso perché avrebbe reso le piattaforme responsabili di ogni violazione del copyright avvenuta al loro interno. Questo avrebbe obbligato le piattaforme a dotarsi di sistemi, automatizzati da algoritmi, per verificare ogni contenuto pubblicato dagli utenti, respingendolo se avesse violato le norme sul diritto d’autore e, quindi, praticando una censura preventiva su tutto quello che gli utenti avrebbero pubblicato.

Anche piattaforme come Wikipedia sarebbero state a rischio. La norma in teoria esclude i progetti non commerciali senza scopo di lucro dagli obblighi degli articoli 11 e 13, ma la situazione non era nella pratica molto chiara. Per esempio, i contenuti di Wikipedia sono spesso dotati di licenza Creative Commons che regola anche fini commerciali, e anche se Wikipedia fosse stata esclusa dall’obbligo di filtraggio e di pagamento del diritto d’autore (in quanto enciclopedia online) ostacolare la circolazione delle informazioni e dei contenuti online danneggerebbe comunque il funzionamento del sito e tutto l’ecosistema di libera circolazione delle informazioni in cui vive.

Internet ha bisogno di nuove norme per il diritto d’autore e spero che il Comitato Juri colga l’occasione data dalla bocciatura di questa direttiva per discutere seriamente di un nuovo percorso per il diritto d’autore online. Un percorso che però non deve servire a difendere ciò che resta di gruppi editoriali morenti che non riescono ancora a adattarsi alla nuova editoria digitale. Il testo tornerà a essere esaminato e votato a settembre, durante la prossima seduta plenaria.

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