The Last of Us Remastered – Recensione

A un anno di distanza dal debutto originale per PlayStation 3, The Last of Us torna in versione re-masterizzata su PlayStation 4. Sony e Naughty Dog hanno deciso di seguire il filone che contraddistingue l’inizio di questa generazione, che ha visto e vedrà il debutto di diversi titoli pensati in origine per le vecchie console, riportati su next-gen per sfruttare la potenza delle nuove macchine e offrire un comparto tecnico logicamente superiore. The Last of Us di per sé non sfigurava affatto su PlayStation 3, rappresentando probabilmente una delle massime espressioni delle capacità hardware della terza console di casa Sony, ma molti appassionati hanno espresso il desiderio di poterlo rigiocare a 1080p e 60 FPS, senza contare coloro che hanno acquistato il nuovo sistema e non hanno avuto la possibilità di giocare il capolavoro firmato Naughty Dog.

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The Last of Us Remastered Recensione 15

Il mondo perduto

Sono passati circa vent’anni da una misteriosa epidemia che ha praticamente decimato il genere umano e ridotto le grandi città spesso in enormi tombe all’aperto, dove la natura sta lentamente riprendendo terreno e i pochi sopravvissuti si fanno la guerra tra loro nel tentativo di andare avanti all’interno di un mondo ormai senza speranza. Joel, un contrabbandiere senza troppi scrupoli, viene incaricato di portare la piccola Ellie fuori città. Il rapporto tra i due rappresenta di fatto l’argomento centrale di tutta una bellissima e commovente storia: merito di una sceneggiatura ben scritta, di dialoghi di stampo cinematografico, di una narrazione che non ha nulla da invidiare alle migliori pellicole e l’ennesima conferma di quanto Naughty Dog sia un team particolarmente abile nel creare e raccontare vicende. Nel caso di The Last of Us parliamo poi di una storia capace di toccare, senza strafare, diversi temi forti: dall’ossessionato amore paterno al coraggio che serve per prendere certe decisioni in momenti in cui tutto sembra perduto. Il giocatore viene letteralmente rapito dagli eventi, per un prodotto che come pochi è in grado di mischiare videogiochi e cinema in maniera sapientemente intelligente, senza lasciar prevalere una parte o l’altra. È anche, se vogliamo, una lezione “indiretta” a David Cage, che non è ancora riuscito coi suoi titoli a trovare quell’equilibrio necessario affinché le due differenti arti possano coesistere tranquillamente.

Un “Remaster” senza eccessi

Perché The Last of Us unisce a una recitazione digitale impeccabile e una storia ben narrata e scritta un impianto di gioco ricco, funzionante e anche particolarmente complesso ai livelli di difficoltà più elevati. È difficile specificare un determinato genere, ma parliamo di un’avventura in terza persona con elementi horror, survival e da sparatutto. Si alternano di conseguenza diverse fasi di gioco in cui bisogna semplicemente esplorare le aree circostanti per poter procedere oppure andare avanti lentamente in modalità stealth per non farsi scovare dagli infetti, anche questi differenti tra loro e che dunque richiedono un approccio ben specifico a seconda della tipologia incontrata. O in alternativa, se la situazione dovesse richiederlo, semplicemente sparare sfruttando le varie coperture per difendersi.
È un mix complesso che indubbiamente funziona e garantisce un alto livello di rigiocabilità, visto che in molti saranno curiosi di vedere come si comporta il gameplay a livelli di sfida più alti e dunque trovare nuove soddisfazioni. Peccato però che il “Remaster” non sia servito a limare quei difetti trovati nell’edizione originale, a cominciare da un’intelligenza artificiale amica poco convincente. Naughty Dog si è “limitata” infatti al comparto grafico: si intenda, più bello da vedere grazie alla risoluzione nativa Full HD e prestazioni pari a 60 frame per secondo (non sempre stabili), ma la base di un gioco di vecchia generazione si vede e sinceramente dopo tanti i proclami fatti pre-lancio era lecito attendersi qualcosa di più.

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