Homefront: The Revolution – Recensione

Il lungo percorso di Homefront: The Revolution è iniziato qualche anno fa: quando THQ confermò l’intenzione di sviluppare un sequel al primo capitolo nonostante vendite non proprio eccezionali e reazioni miste da parte della stampa specializzata. Il primo Homefront era un prodotto non all’altezza delle aspettative che aveva generato, ma che mostrò comunque qualcosa di buono, soprattutto sotto il profilo del setting e della sceneggiatura, cui supervisione era stata affidata a John Milius, che nella sua lunga carriera vanta una nomination al Premio Oscar per Apocalypse Now. Il fallimento di THQ è stato però l’inizio dei problemi per il sequel: passato nelle mani di Crytek UK, il gioco ha cambiato prima di tutto struttura abbracciando una complessa e ambiziosa filosofia open world. Quando sembrava che finalmente i lavori potessero proseguire senza problemi, sono arrivate invece le magagne finanziarie anche per Crytek che, all’interno di un’operazione di ristrutturazione, decise di vendere i diritti di sfruttamento del franchise a Koch Media. Lo sviluppo del progetto è dunque passato a Dambuster Studios, sorto dalle ceneri di Free Radical. Non senza qualche difficoltà, Homefront: The Revolution è finalmente arrivato sul mercato, risentendo evidentemente di uno sviluppo così travagliato.

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Homefront: The Revolution – Recensione: Un’opprimente occupazione

Homefront The Revolution Recensione 05

E il fatto che il progetto sia passato fra così tante mani e in mezzo a diverse vicissitudini finanziarie lo si capisce semplicemente dal fatto che si è deciso di gettare nella spazzatura tutto il setting del precedente capitolo per crearne uno completamente nuovo, quasi come se fosse una sorta di reboot. Non cambia l’ingrediente principale, dato che la Corea del Nord è diventata anche in questo caso una super-potenza tale da inginocchiare e occupare gli Stati Uniti, cambiano però i presupposti che portano a questo risultato: se nel primo capitolo il tutto era stato un susseguirsi di eventi geo-politici tutto sommato credibili, qui il contesto è decisamente più banale. Si viene calati in un universo temporale alternativo in cui la rivoluzione digitale degli anni ‘70 ha fatto grande la Corea del Nord. Merito principale va alla APEX, una sorta di Apple coreana che domina il mercato degli smartphone e non solo, interessandosi anche alla produzione di armi. Impegnati in numerosi conflitti in Medio Oriente e in crisi finanziaria, gli Stati Uniti si servono proprio della APEX per i loro armamenti, fino ad arrivare a una situazione economica insostenibile e a dichiarare il default nel 2025 a causa dei debiti contratti con i coreani. Questi inizialmente sembrano offrire supporto e aiuti umanitari, ma è soltanto un pretesto per occupare il paese, grazie anche all’aiuto di una speciale backdoor che ha permesso alla APEX di disattivare tutti gli armamenti statunitensi. Il gioco ha inizio nel 2029, in una Philadelphia duramente oppressa dall’occupazione coreana, e si impersona un novellino della Resistenza chiamato a supportare gli esponenti dell’organizzazione per cercare di ridare libertà e giustizia agli Stati Uniti.

Aldilà del pretesto, è una patata bollente che indubbiamente attira e per certi versi è resa bene: per le strade della città si respira quel senso opprimente di un’occupazione tirannica che non lascia scampo. La gente ha paura anche della Resistenza: non vuole rischiare di farsi vedere in combutta con quelli che il governo coreano tenta di far passare come semplici terroristi interessati solamente a distruggere il nuovo ordine che si è costruito. Peccato che il tutto non venga gestito in maniera esemplare: l’inizio è scialbo e piuttosto ordinario, mentre un’impennata negli eventi si verifica dalla seconda metà in poi, prima di arrivare tuttavia a un finale abbastanza insoddisfacente. Un’altalena qualitativa: un concetto che possiamo ribadire per tutto il resto che ha da offrire Homefront: The Revolution.

Homefront: The Revolution – Recensione: Tante idee e un mare di problemi

Homefront The Revolution Recensione 02

È bene spiegare subito una cosa: siamo davanti a un gioco che, sotto il profilo dei contenuti e delle possibilità offerte all’utente, mette davvero tanta carne al fuoco. Il problema è che si notano tutte le magagne dietro allo sviluppo, si capisce insomma come il progetto sia passato tra troppe mani e che è arrivato sul mercato in forma chiaramente incompleta. Facciamo un rapido esempio: siamo di fronte a uno sparatutto open world che permette di esplorare liberamente la mappa di gioco servendosi anche di una motocicletta, peraltro unico mezzo veramente guidabile. Il fatto è che si tratta di un elemento chiaramente forzato: spostarsi con la motocicletta significa mettersi al tiro delle pattuglie nemiche, davvero tante e difficili da affrontare in solitaria. Pure per le fughe la sua utilità è piuttosto relativa, dato che per sfuggire all’occhio del nemico basta sfruttare uno dei tanti nascondigli (come un cassonetto o un bagno chimico) disseminati per la mappa. Inoltre, non è possibile sparare mentre si guida e, clamorosamente, i nemici non possono essere investiti, ma vengono semplicemente “trapassati” come fantasmi senza alcun effetto. Ed evitiamo di accennare al sistema di guida molto approssimativo.

Insomma, è un esempio che rende perfettamente il quadro che di fatto rappresenta l’esperienza di gioco offerta da Homefront: The Revolution. Ci sono veramente tante idee e molte cose, ma l’impressione è che gran parte di queste siano state messe per far numero o semplicemente in versione abbozzata, come se gli sviluppatori non avessero avuto il tempo di integrarle perfettamente all’interno del sistema di gioco. Il discorso della motocicletta può essere esteso, ancora, alla possibilità di modificare le armi: interessante, ma inutile, perché in fondo il prodotto spinge a utilizzare sempre le stesse tipologie. Le sezioni stealth non entusiasmano non tanto per la loro realizzazione, che è a nostro modo di vedere sufficiente, ma per come vengano rovinate da glitch evidenti, come una incosciente gestione del respawn dei nemici. Immaginate di liberare dei prigionieri senza farvi vedere e subito dopo essere fucilati alle spalle perché, misteriosamente, un soldato nemico è apparso alle vicinanze per ricreare la stessa situazione. Potremmo continuare con gli esempi all’infinito, ma il succo è essenzialmente quello che abbiamo già espresso più volte: tante cose che se ben integrate avrebbero reso questo Homefront un degno avversario di prodotti del calibro di Metro 2033, ma che invece risulta un gioco confuso e incoerente, che cade sotto il fuoco delle sue stesse armi.

Homefront The Revolution Recensione 01

Ed è davvero un gran peccato perché, quando le cose funzionano, ci si diverte pure: armi modificabili, oggetti da acquistare per potenziare il proprio equipaggiamento, quartieri da liberare per accrescere passo dopo passo il potere, una risposta delle bocche di fuoco realistica ed eccezionale, una struttura sandbox che comunque offre differenti possibilità di approccio suggerendo persino uno stile tattico e ragionato, piuttosto che semplici incursioni in stile Rambo e missioni della campagna che vantano pure qualche buona idea. Intendiamoci, al netto di problematiche piuttosto evidenti, siamo di fronte a uno sparatutto pure abbastanza longevo, dato che per completare la campagna sono richieste dalle 20 alle 25 ore di gioco, a seconda di quanto vi dedicherete agli incarichi secondari che comunque peccano (e ci risiamo!) di una grave ripetività di fondo. A ciò si aggiunge una interessante modalità multiplayer cooperativa, che tuttavia soffre di problemi al matchmaking oltre che di una scarsità di giocatori disponibili.

Come se non bastasse, a peggiorare la situazione interviene un’ottimizzazione a dir poco pessima: testato su PlayStation 4, il gioco non riesce quasi mai a mantenere il target di 30 FPS, riuscendoci solo in rarissime situazioni. Specialmente all’aperto è un crollo continuo di prestazioni, spesso fastidiose e che possono indiscutibilmente rovinare l’esperienza di gioco. Per non parlare dei continui freeze temporanei che si verificano nel momento in cui scatta il salvataggio automatico. E anche in questo caso è un vero peccato, dato che l’impatto visivo, donato dal sempre in forma CryEngine, è veramente di un certo livello e offre scorci memorabili.

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Homefront: The Revolution – Recensione: Commento Finale

Peccato. Peccato. Peccato. Abbiamo usato questa parola più volte nella nostra recensione e ci teniamo a ribadirla ancora in questa disamina finale. Perché Homefront: The Revolution è uno sparatutto open world lungo e dalle tante idee, ma che è vittima di vicende che non possono neanche essere imputate allo sviluppatore, che anzi ha avuto il merito di riuscire in qualche modo a lavorare in condizioni che non si augurano a nessuno. E lo si intuisce dal fatto che il titolo, nonostante i tanti problemi di bilanciamento e di scarsa implementazione di queste trovate all’interno della struttura di gioco, oltre alla pessima ottimizzazione, riesce persino a divertire a tratti, facendo scorgere un potenziale totalmente inespresso. Dambuster Studios si è scusata con la community per aver presentato un prodotto in queste condizioni e ha già promesso vari aggiornamenti per provare a sistemare le cose. I primi sono arrivati e non hanno purtroppo cambiato le cose: l’impressione è che il codice sia talmente instabile da risultare difficile da sistemare, perlomeno non in tempi brevi. Siamo stati piuttosto indecisi sul voto finale, ma alla fine abbiamo optato per una sufficienza risicatissima, per premiare quel di buono che comunque il gioco indubbiamente ha e l’impegno mostrato dal team per cercare di rimettere a galla una barca che sembra destinata all’affondamento.

Homefront: The Revolution è disponibile per PC, PlayStation 4 e Xbox One.

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