Horizon Zero Dawn accusato di appropriazione culturale. Guerrilla si difende: “Non si sa mai cosa offende l’internet”

“Horizon Zero Dawn” di Guerrilla Games ha ricevuto una buona accoglienza da parte di pubblico e critica, ma il 28 febbraio la fotografa nativa americana Dia Lacina ha scritto un saggio su Medium intitolato “Di cosa parliamo quando non parliamo di Nativi americani” attaccando come il gioco usi l’immaginario e il vocabolario dei Nativi americani e delle culture indigine in generale (con termini e concetti come “brave” e “tribe”) e come la stampa abbia ignorato la questione.

Cosa vuol dire “brave” usato in Horizon Zero Dawn

Devo a proposito probabilmente spiegare dove sia il problema nell’uso del termine “brave” in “Horizon Zero Dawn”, dove descrive una classe di guerrieri. La parola, comunemente conosciuta col significato di “coraggioso”, viene usata oggi per riferirsi agli uomini nativi americani ed è originariamente stata usata per riferirsi a volte ai guerrieri nativi americani e a volte ai Nativi americani che non erano ancora “guerrieri”, cioè che non avevano ancora combattuto in battaglia. Il termine appare nel quindicesimo secolo, prestito dal francese “brave” (sempre “coraggioso”) che deriva dal nostro “bravo” che, a sua volta, deriva forse dal latino “pravus” (“cattivo”) forse con l’influenza di “barbarus”. “Brave” non è quindi un termine storicamente neutrale, ma nasce come termine bianco per parlare dei Nativi americani.

Cosa non va nell’uso di “brave” o nel descrivere la società tribale come “primitiva”

Usare il termine “brave”, usato per descrivere i guerrieri della tribù dei Nora, la tribù della protagonista Aloy, può essere quindi motivo di controversie. Intanto Aloy è bianca, ha i capelli rossi, non ha niente a che vedere con i Nativi americani e niente a che vedere con i Nativi americani hanno i suoi compagni. Usare un termine del genere vuol dire saccheggiare la cultura di popolazioni che son già stata letteralmente saccheggiate (si chiama “appropriazione culturale”e che tuttora devono combattere per difendere almeno i territori in cui sono stati generosamente rinchiuse dai bianchi. Popolazioni per cui il concetto di “tribù” non è qualcosa di primitivo che rischia di tornare in un mondo post-apocalittico, ma un modo di vivere quotidiano da difendere. E usare termini come “savage” o “primal” per parlare del mondo descritto da “Horizon: Zero Dawn”, un mondo che si basa  proprio su quello dei Nativi americani, può voler dire replicare i modi in cui una cultura prima europea e poi genericamente occidentale ha definito le culture indigene che invadeva per segnarne l’inferiorità e la differenza.

“Praticamente ogni aspetto della costruzione del mondo di Horizon Zero Dawn ha ricevuto complimenti dalla critica con termini che esplicitamente e storicamente sono stati applicati a popolazioni indigene spesso per screditare il nostro modo di vivere e opprimerci, ignorando che quel mondo tanto unico e originale sia stato in realtà tirato fuori quasi interamente dalle nostre culture.” 

La risposta di Guerrilla Games

Waypoint ha a proposito interrogato John Gonzales di Guerrilla Games, direttore della narrazione in “Horizon: Zero Dawn”, che ha dato una difesa piuttosto debole per evitare di ammettere semplicemente che sarebbe stati necessari più studio e più discussione, magari proprio con persone che appartengono alle culture saccheggiate dal gioco. “Il lessico è stato certo discusso durante il processo creativo, in quanto volevamo essere sicuri di essere sensibili alle preoccupazioni culturali del nostro pubblico. Ma non stavamo cercando ispirazione da un gruppo uin particolare, abbiamo guardato una grande varietà di culture tribali nel mondo e nella storia. È per questo che molte persone parlano dei Nora come simili ai Vichingi, o perché ci sono elementi visivi che ricordano i pittogrammi celtici.

Per quanto riguarda il termine brave… per quanto riguarda in particolare questa parola… da quello che ci risulta non era un termine che sarebbe risultato offensivo. Stavamo cercando di trovare un termine che combinasse le capacità di un guerriero e le capacità di un cacciatore.” Non credo che il problema sia che “brave” è offensivo: il problema è che questo termine è preso, decontestualizzato e usato a piacere, come se fosse un materiale a disposizione. Peccato anche per la chiusura della difesa di Gonzales, che attacca “la cultura di internet” in cui è impossibile non offendere nessuno. “Detto questo, con questo genere di cultura dell’internet che abbiamo ora è impossibile predire cosa possa essere offensivo.” Grandi giochi AAA per cui vengono spesi decine di milioni di dollari non dovrebbero aver bisogno di “predire” se una parola offende il gruppo a cui è stata rubata, dovrebbero potersi permettere, semplicemente, di chiedere a chi lo sa.

Affrontare una cultura estranea con totale ignoranza del materiale originale è grave per qualsiasi progetto. Mesi fa ho parlato di “Voodoo”, disastroso progetto dello studio italiano Brain in the Box ambientato in quella che gli autori chiamano “un’Africa fantasy e primordiale”, cioè un accumulo di stereotipi recuperati a casaccio dall’interezza della storia e della geografia africana e anche americana (il titolo si riferisce al “Voodoo” della Louisiana). Ma quando questo accade in un titolo dal grande budget e la giustificazione si limita a essere “non si può mai sapere cosa offende internet oggi” mi sembra che si possa parlare di trascuratezza e, forse, anche di consapevole disinteresse, come quando in prima serata, in una delle principali trasmissioni dell’anno televisivo della TV pubblica italiana, il presentatore chiama i Nativi americani “Pellerossa”.

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