Interstellar – Recensione

Un viaggio per salvare l’umanità, per scoprire nuovi orizzonti aggrappandosi al comune detto “la speranza è l’ultima a morire”. La Terra è ormai sull’orlo del collasso e l’oblio sembra inevitabile, o quasi. È questo lo sfondo di Interstellar, ultima fatica di un Christopher Nolan astuto e audace, che non ha paura di tirare fuori dal cilindro un film a metà tra trascendenza e immanenza. Servendosi di un cast “stellare” – e non è un gioco di parole – tra cui si mette in luce Matthew McConaughey (del tutto affermato dopo l’ottima interpretazione in Dallas Buyers Club e in True Detective), il cineasta più acclamato del momento regala al pubblico quasi tre ore di un’esperienza che va ben oltre le stelle e l’universo, filtrando emozioni e sentimenti per raccontare l’amore tra un padre e una figlia.

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Un viaggio “esistenziale”

Sembra essere arrivata la fine del mondo e l’unica possibilità per evitare l’estinzione del genere umano è quella di trovare un pianeta le cui condizioni soddisfino le esigenze dell’uomo. Le risorse alimentari si stanno esaurendo ed è qui che entra in gioco la NASA, con il piano interstellare che dà il nome al film: grazie alla comparsa di un buco nero, l’uomo avrebbe infatti la possibilità di esplorare nuove galassie. Soltanto così noi potremmo continuare a esistere. Noi, voi. Il film coinvolge e stravolge, trasmettendo emozioni allo spettatore attraverso la storia di Cooper (Matthew McConaughey) e di sua figlia Murph: lui è un ex-pilota di astronavi, divenuto agricoltore una volta compreso che di gente come lui non ce n’era più bisogno; lei è la sua bambina, la sua vita, la sua anima. Altro che film girato a stretto contatto con Kip Thorne – famoso fisico teorico statunitense, nonché uno dei produttori esecutivi di Interstellar – e produzione che omaggia la scienza, questa è la storia di una promessa, del desiderio di un padre di fare ritorno a casa e dell’attesa di una figlia che vuole riabbracciarlo. Ancora e ancora.

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Oltre il tempo e lo spazio

È la semplicità l’arma vincente di Nolan: in contrapposizione al viaggio nello spazio e all’immensità dell’universo, ci sono infatti i piccoli gesti e le frasi brevi e dirette: quasi come fossero spezzate, incompiute, sono loro a dare il vero senso alla pellicola. È un vero inno all’amore quello del regista britannico; l’amore indissolubile che nemmeno il tempo e lo spazio è in grado di annientare. Se serve dunque di quello padre-figlia, una scelta azzeccata in quanto il sentimento tra due amanti sarebbe risultato troppo forzato, quasi patetico. Il resto vien da sé, la produzione riesce a intrattenere e non stanca. L’unico inconveniente è che l’epilogo dura circa tre quarti d’ora, senza riuscire concretamente a dire qualcosa in più rispetto al tutta la porzione di film precedente.

Tirando le somme, Interstellar è senz’altro la pellicola che il pubblico stava aspettando, nonostante i pareri divergenti della critica. Profondo ma essenziale, diretto ma contorto. Dietro la cornice del viaggio intergalattico si nasconde il senso della vita, dipinto attraverso una pioggia di scene e una quantità innumerevole di parole. Come le stelle.