Dying Light – Recensione

Se c’è un genere che non conosce crisi, quello è sicuramente l’horror. Sul grande e piccolo schermo, che sia un lungometraggio o un telefilm, questa tipologia ha continuato a “tormentare” gli spettatori di tutto il mondo nel corso degli anni, proponendo prodotti più o meno originali tra reboot, remake, e nuovi episodi degli stessi, conosciutissimi franchise. Per quanto riguarda il settore videoludico, il survival horror ha conosciuto la sua prima espansione al pubblico di massa nella generazione 32 bit, con il primissimo Resident Evil per Playstation di Capcom, e in un secondo momento Silent Hill prodotto da Konami, complice la potenza di calcolo garantita dagli hardware di quel tempo, che permettevano di abbandonare il mondo 2D per addentrarsi in un più pauroso mondo tridimensionale (più o meno artefatto, come nel caso del primo Resident Evil, ma questo è un altro discorso). Siamo sempre più desensibilizzati dai mass media che quotidianamente ci propinano immagini forti che ormai ci hanno abituato a ogni tipo di orrore, cosa che, unita a una scarsità di idee, sta portando a saturare il mercato del genere horror. Che sia venuto quindi il tempo di svecchiare le solite meccaniche viste e riviste? Ci hanno provato i ragazzi di Techland, che molti di voi conosceranno per Dead Island, uno dei principali giochi survival horror usciti nel corso della scorsa generazione. Sarà riuscito Dying Light in questo intento? Scopritelo leggendo la nostra recensione.

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Benvenuti ad Harran

Dobbiamo ammetterlo, l’introduzione e la premessa alla base di Dying Light non brillano certo per originalità: nel gioco impersoniamo Kyle Crane, il quale viene inviato dalla GRE (Global Relief Effort) ad Harran, una città debellata da un pericoloso virus che ha contagiato gran parte dei cittadini, lasciando pochissimi superstiti e costringendo lo stesso Stato a mettere l’intera zona in quarantena. Nostro compito sarà quello di venire in possesso di un file in cui sarebbe verosimilmente contenuta la sintesi di un antidoto per il virus, ancora incompleto e quindi potenzialmente tossico e distruttivo (comportando la perdita di numerosissime vite), attualmente detenuto da Suleiman, un politico locale. Suleiman farebbe leva su questo file per minacciare la GRE, infuriato per la morte di suo fratello durante un incidente dovuto al contagio. La cosa che salta più all’occhio nel corso dell’inizio di Dying Light (specialmente nel tutorial, poco dopo le cutscenes iniziali) sono le sue meccaniche di gameplay, che costituiscono finalmente una ventata d’aria fresca nell’ormai stagno panorama del genere survival horror. Ricollegandosi infatti in maniera più o meno dichiarata a Mirror’s Edge, il gameplay di Dying Light richiama in gran parte il titolo di Electronic Arts per le sue meccaniche di parkour: basterà infatti usare il grilletto inferiore per scalare gradualmente i tetti o saltare da un punto all’altro. Lo precisiamo: questa meccanica sarà oltremodo fondamentale in tutto il corso della storia, dal momento che costituirà il nostro unico riparo nella città di Harran. Gli zombie infatti non saranno in grado di scalare i tetti, rimanendo relegati al terreno (almeno nelle fasi iniziali). Ciò ha portato ovviamente a una verticalizzazione del gameplay, che ora dà più libertà d’azione al giocatore. Una delle principali discriminanti di Dying Light rispetto ai precedenti episodi di Dead Island che balza subito all’occhio è l’impossibilità di usare veicoli di alcun tipo, che siano automobili o camion. Il protagonista dovrà quindi spostarsi unicamente a piedi, tra un tetto e l’altro, per portare a termine ogni missione. Questo non va visto necessariamente come un difetto: la mancanza di veicoli da guidare trasmette un maggior senso di rischio, anche se alla lunga potrebbe stancare costringendo non poche volte il giocatore a delle vere e proprie maratone tra un punto e l’altro.
Già in questo notiamo una sostanziale differenza con i precedenti Dead Island di Techland: il gameplay stavolta è più dinamico, libero rispetto in precedenza, nota positiva che va a favore di Dying Light.

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La luce morente

Uno degli aspetti maggiormente riusciti oltre al parkour detto in precedenza, è la configurazione in un certo senso “ruolistica” del giocatore: ci saranno tre parametri distinti, rispettivamente Agilità, Forza e Sopravvivenza. Nel corso della storia, facendo uso di una di queste caratteristiche si acquisiranno dei punti esperienza che permetteranno al giocatore di acquisire certe abilità, che man mano diventeranno sempre più specifiche e complesse. Lo stesso vale per le armi che impugneremo nel corso della storia (ognuna caratterizzata da un certo valore di potenza, maneggevolezza e durevolezza), che potranno essere costruite dal protagonista raccogliendo qua e là oggetti sparsi nella città. In questo senso diventa quindi importante (se non fondamentale) il crafting, non solo per le armi ma anche per preparare kit di soccorso per curare il protagonista, un po’ come succedeva in The Last of Us. A noi è parsa un’impostazione davvero ottima e ben congeniata, che non ha di certo le pretese di concorrere con gli aspetti ruolistici di un Elder Scrolls o del Final Fantasy di turno, ma che comunque aggiunge un aspetto non da poco garantendo un minimo di varietà in più rispetto alle classiche meccaniche. Dovremo ad esempio cercare nei paraggi dei pezzi di metallo per costruire dei grimaldelli, i quali ci serviranno per scassinare dei bottini, o ancora rovistare la spazzatura in cerca di garze e alcool per fabbricare kit di soccorso e curarci.

Come abbiamo già detto nelle righe qui sopra, la storia di Dying Light ricalca abbastanza i soliti cliché del genere, con una storia piuttosto “banale”, quantomeno nelle sue premesse. Nonostante questo, la narrativa è stata curata minuziosamente, i dialoghi (completamente in italiano, per inciso) tra i personaggi sono numerosissimi e ben fatti sin dalle prime sequenze di gioco, invogliando il giocatore a proseguire nelle missioni per saperne sempre di più. Non sarà raro, già a partire dalle prime sequenze introduttive, girare tra i rifugi e dialogare con diverse persone, per venire a conoscenza di nuovi preziosi dettagli riguardanti la trama. Il che aiuta non poco ad immedesimarsi nella situazione, complice anche la città di Harran, con i suoi colori tendenti al rosso. Questa scelta cromatica aiuta non poco a trasmettere un senso di oppressione e di ansia. Il comparto tecnico ha aiutato molto in tal senso, offrendo un vastissimo campo visivo e dando quindi un buon feeling con l’ambiente circostante. Gli effetti particellari e la illuminazione sono stati ottimamente riprodotti, ogni elemento dello scenario è stato ricreato bene, e nonostante a primeggiare sia ovviamente la versione PC con dettagli Ultra, anche le controparti per console di nuova generazione (Xbox One e Playstation 4) si difendono benissimo (pur non avendo gli stessi potenti filtri), garantendo un ottimo colpo d’occhio senza praticamente nessun calo di frame rate. La città di Harran riesce perfettamente nell’intento di restituire quella sensazione di desolazione, richiamando alla mente telefilm come The Walking Dead o l’ultima fatica di Naughty Dog, The Last of Us. A questo si aggiunge un comparto sonoro piuttosto pregevole con degli accompagnamenti musicali di tutto rispetto.

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Due è meglio di uno

Dying Light, similmente ad altri giochi survival horror (come Left for Dead) è un’esperienza che assume ancor più carattere se giocato in cooperativa, assieme ad altri giocatori. Sarà possibile giocare fino a 4 giocatori in contemporanea, cercando una partita o creando una stanza privata, a seconda della necessità del giocatore, per iniziare insieme la storia o eventualmente proseguire una missione già intrapresa in singolo. La coop, così come il netcode funzionano molto bene, nella nostra esperienza non abbiamo constatato nessun problema o lag di sorta. Molto utile la creazione di una partita in cooperativa direttamente in-game: basterà premere il tasto Opzioni per rendere pubblica la nostra partita, dando così modo a qualsiasi giocatore di entrare e collaborare con noi. Assieme alla tradizionale campagna in cooperativa, i ragazzi di Techland hanno inserito una modalità a parte, chiamata “Be The Zombie”. In questa particolare modalità sarà possibile impersonare lo zombie Hunter (o cacciatore) il quale, entrando in altre partite, avrà il compito di sterminare gli umani che si troveranno al suo cospetto. Be The Zombie si prefigura come una buona aggiunta, considerando anche che è stato messo come contenuto scaricabile gratuitamente, e quindi accessibile da tutti i giocatori. Arrivati a questo punto abbiamo spolpato (o almeno si spera) in lungo e in largo tutte le caratteristiche del gioco, tranne forse quella più importante: gli zombie. I ragazzi di Techland hanno posto molta cura nel diversificare gli zombie, proponendone diversi tipi, ognuno con i propri pattern di movimento e caratteristiche peculari. Tutto dipenderà dal livello di infezione a cui essi sono arrivati: ci saranno quindi gli zombie più semplici e innocui, dotati di scarsa intelligenza e che quindi potranno essere aggirati agevolmente prestando attenzione a non far rumore (i cosiddetti “biters”), così come altri non del tutto trasformati in zombie, i “virals“, o ancora i “runners“, ben più agili rispetto agli altri. A tal proposito dobbiamo parlare del ciclo giorno e notte, ben implementato all’interno di Dying Light: dal giorno alla notte (tralaltro riprodotta in maniera egregia, con ottimi effetti di luce) infatti possiamo dire che il gameplay cambierà in maniera sostanziale. Mentre durante il giorno riusciremo facilmente a evitare gli zombie saltando da un tetto all’altro, di notte questo sarà molto più difficile, data la presenza di una specifica classe di mangiacarne, i “notturni”, che saranno in grado di scalare fin sopra i tetti e sorprendere il giocatore, dandogli filo da torcere.Per quanto riguarda la campagna, Dying Light dà molta libertà al giocatore, offrendo la possibilità di portare a termini le missioni principali utili al proseguimento della trama, o in alternativa dedicarsi anche alle numerosissime missioni secondarie sparse nel corso del gioco, aggiungendo diverse ore di intrattenimento. Dying Light è inoltre pieno zeppo di easter-egg da scoprire, che richiameranno numerosissimi videogiochi, sicuramente una divertente aggiunta da parte dei ragazzi di Techland.

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Commento finale

In definitiva, Dying Light è senza dubbio la sorpresa in positivo di questa prima parte di 2015. Il titolo riesce finalmente a svecchiare alcune meccaniche ormai troppo rodate dai precedenti titoli del genere inserendo il parkour nel gameplay, e aggiungendo nella ricetta diversi aspetti ruolistici e di livellamento del personaggio, il tutto con una cura non di poco conto. Forse a mancare è probabilmente una storia diversa dal solito, ma non ce la sentiamo di penalizzarlo eccessivamente per questo aspetto. Se siete fan dei survival horror, Dying Light si configura come un acquisto praticamente obbligato.

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