Lo sviluppo di Rise of the Tomb Raider e il futuro open-world della serie

Crystal Dynamics ha di recente rilasciato il nuovo capitolo delle avventure di Lara Croft, “Rise of the Tomb Raider“, come esclusiva momentanea per Xbox 360 e Xbox One. I risultati commerciali non sono stati molto buoni e, seppur pubblicamente Square-Enix e Microsoft abbiano difeso il gioco e la sua qualità, il CEO di Crystal Dynamics ha lasciato la sua posizione senza troppe spiegazioni. Le recensioni sono state però piuttosto positive (noi dobbiamo ancora provarlo, abbiate pazienza) e positiva è stata la reazione dei giocatori. Ora Noah Hughes, direttore creativo del marchio “Tomb Raider”, racconta qualche dettaglio sulla creazione del gioco e sul futuro della serie in una intervista a Gameinformer.

Uno degli obiettivi principali per l’evoluzione della serie è stato concentrarsi di più sulle caratteristiche survival e “iniziare a dare loro più significato in termini di gameplay”. Trasformare “Tomb Raider” in un survival d’azione, allontanandosi parecchio dagli elementi puzzle della serie originale, è stato il grande salto che ha portato al reboot della serie. “Devi davvero cacciare per diventare più forte e devi usare l’ambiente intorno a te contro i tuoi nemici. Anche curarsi è legato alle risorse collezionate.” I puzzle ritornano nelle tombe esplorabili e opzionali, create, racconta Hughes, per soddisfare i giocatori affezionati al gameplay originario della serie e isolate dalla storia principale per non invadere troppo la partita di chi cerca in “Rise of the Tomb Raider” solo un gioco d’azione.

Le tombe, le dimensioni della mappa, gli elementi di sopravvivenza aggiunti servono tutti a creare un senso di solitudine in un grande mondo tutto da scoprire. “Questo sentirsi soli, in un posto dove nessuno è mai stato, questo essere da soli con il luogo. C’è una relazione magica tra questa Lara solitaria e la scoperta di una tomba.” Allo stesso tempo, era necessario farla a volte interagire con altre persone per “tirare fuori la sua umanità”, e la sfida di Crystal Dynamics è stata, secondo Hughes, riuscire a bilanciare queste due parti dell’esperienza.

Ma forse le cose più interessanti che emergono riguardano il futuro della serie. Quando gli viene chiesto se la mappa del prossimo videogioco di “Tomb Raider” sarà ancora più grande Hughes risponde proponendo una visione piuttosto diversa da quella che incontriamo abitualmente nei videogiochi open-world. “Non so se una scala equivalente sia necessariamente la risposta giusta per il prossimo gioco. Quello che vogliamo è comunque avere densità e una esperienza che sia sentita come unica. In questo caso serviva questa scala, andando avanti vogliamo essere però sicuri di creare soprattutto mondi che abbiano un significato, ben fatti e ricchi. Non vogliamo avere grandi mappe solo per il gusto delle dimensioni.”

L’open-world è attualmente il design più importante nel videogioco, e i videogiochi d’azione open-world sono i giochi che dominano la scena mondiale. Al punto che pure Electronic Arts ha fortemente voluto una squadra che ne sviluppasse uno. Ma quanto sono ricche e significative le mappe dei videogiochi open-world disponibili? Accanto a eccellenze come “The Witcher 3” e “Fallout 4” (che ha comunque un po’ di problemi) abbiamo giochi che si limitano a riempire una mappa più o meno grande di icone, di missioni secondarie e oggetti collezionabili, tralasciando totalmente il senso di scoperta e di sorpresa che dovremmo avere esplorando un mondo. “La Terra di Mezzo: L’Ombra di Mordor” ha mostrato come  sia possibile sviluppare dei personaggi non giocanti vivi e apparentemente indipendenti in un open-world, ma la sua mappa è piccola e vuota, l’esplorazione si limita a un correre e a un teletrasportarsi a giro per raggiungere oggetti, personaggi e missioni di cui già si conosce la posizione. Quindi, ben venga un arresto nell’aumento delle dimensioni della mappa, se questo vuol dire rendere l’ambiente più significativo come narrazione e, soprattutto, come gameplay.

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