That Dragon, Cancer – Recensione

Joel non smette di piangere. Le sue urla riempiono la notte della camera d’ospedale che ho imparato a conoscere, con la poltrona in cui lo cullo, il bagno, il suo lettino dalle sbarre altissime, il divano-letto accanto alla finestra. Sono stanco, non riesco a pensare, non riesco a calmarlo. Come si calma un bambino che sta morendo di tumore? Come si spiega il dolore, la morte, a un bambino che non ha avuto la possibilità di impararne le parole? Ryan Green è un programmatore e uno sviluppatore di videogiochi e, insieme agli altri membri di Numinous Games, ha realizzato “That Dragon, Cancer” per raccontare i primi (e ultimi) anni di vita di suo figlio Joel, a cui fu diagnosticato un tumore al cervello all’età di un anno e che è infine morto, a cause del ritorno del cancro dopo intervento chirurgico e chemioterapia, all’età di 5 anni nel 2014.

That Dragon, Cancer – Recensione: la storia di Joel, Ryan e Amy Green

That dragon cancer

Mentre Joel piange, assordandomi attraverso le cuffie, penso che non riuscirò a finire “That Dragon, Cancer”. Non è un videogioco difficile, non nel senso che normalmente diamo all’aggettivo “difficile” quando parliamo di videogiochi. Anzi, chiunque può finire “That Dragon, Cancer”, se guardiamo alla sua difficoltà come guarderemmo a quella di un gioco. Ma “That Dragon, Cancer” è difficile in altri modi, molto più dolorosi. È intimo, è crudo, è dolce e sincero. Attraverso, clic dopo clic, 14 scene che ripercorrono in due ore i quattro anni della malattia di Joel. Sono ricordi di giorni felici e di tappe nella terapia realizzati in una piacevole e delicata grafica low-poly, accompagnati da registrazioni delle voci di Ryan, della moglie Amy e dei loro figli. Vivo momenti come un’uscita al parco con Joel e i suoi fratellini, la festa in ospedale per la fine della chemioterapia, il giorno in cui i medici devono annunciare che la medicina non ha la capacità di salvare il bambino.

That dragon cancer

La scena dell’incontro con i dottori ha una forza incredibile. Manipolando un giocattolo di Joel guardo lo stesso evento, dall’inizio alla fine, dal punto di vista di Ryan, di Amy, del dottore e della dottoressa. Vedo le loro illusioni, le piccole vittorie di un momento in tutti stanno scoprendo di essere degli sconfitti. Amy e Ryan esplorano, domanda dopo domanda, ogni possibilità di guadagnare anche solo qualche mese con loro figlio (rispetto alle previsioni, Joel vivrà effettivamente due anni in più), i dottori pronunciano risposte già ripetute troppe volte con un dolore sempre rinnovato. Fuori inizia a piovere e poi inizia a piovere anche dentro la stanza, sale l’acqua dal pavimento, arriva al mio collo. Attraverso un mare ormai in tempesta con una piccola barca, cercando di portare Joel in salvo.

That Dragon, Cancer – Recensione: ricordi, fantasie, minigiochi

That dragon cancer

In “That Dragon, Cancer” il ricordo si mescola spesso, come accade nella memoria, a fantasie, sogni e incubi. Questi momenti sono a volte solo l’incontro intuitivo di momenti diversi, ma in altri casi assumono l’aspetto di veri e proprio minigiochi. Guido Joel, che vola nel cielo trasportato da un mazzo di palloncini ricavati da guanti ospedalieri, evitando le spine delle cellule tumorali. Percorro i corridoi dell’ospedale in una corsa in stile Super Mario Kart. Combatto, in un videogioco di piattaforme/azione, contro il Drago del cancro mentre racconto ai miei figli la fiaba del coraggioso cavaliere Joel. Questi minigiochi sono la parte forse meno riuscita di “That Dragon, Cancer”, quella in qualche modo più convenzionale.

That dragon cancer

In altre scene “That Dragon, Cancer” si allarga, diventa una collezioni di memorie collettive di chi ha attraversato il cancro, di chi è morto, di chi ha perso una persona amata. Cammino in corridoi dell’ospedale dai muri colmi di disegni, fotografie e collage lasciati dai pazienti. Molti dei disegni sono fatti da bambini, molte delle opere parlano di rinascita e il simbolismo della Fenice ritorna più volte. Poco dopo, gli stessi spazi sono cosparsi di biglietti, uno per ogni persona amata e scomparsa. È una quantità di morte, ma anche di vita e di vite, che non riesco a sopportare. Inizio a piangere, e non smetto sino alla fine del videogioco. Anzi, in realtà non ho ancora smesso.

That Dragon, Cancer – Recensione: il Drago e la Fede

That dragon cancer

Il cancro è per me una malattia quasi soprannaturale. Lo so che è qualcosa di studiabile e affrontabile dalla scienza come tutto il resto dei mali, non pensate che io sia uno di quei pazzi che credono sia un morbo alieno diffuso dalla CIA per sterminare la popolazione mondiale o roba del genere. Ma, dopo che si è portato via due miei amici e mio zio, lo vedo come qualcosa di inarrestabile, qualcosa che arriva in modo inatteso, per il ghiribizzo di qualche dio burlone, e che la scienza riesce solo ad arginare. È un Drago, appunto, perché il Drago rappresentava, nelle leggende, l’ignoto e l’informe della Natura con cui la razionalità e la civiltà umane, il cavaliere, si dovevano scontrare. E la famiglia Green risponde al Drago, a un male contro cui l’uomo ha fallito, con la Fede. Sia Ryan sia Amy sono cristiani credenti e praticanti e la Fede, con i dubbi di Ryan e l’ottimismo di Amy che aspetta ingenuamente (o disperatamente) il miracolo salvifico, occupa una gran parte della vicenda. Non si tratta semplicemente della solita questione “come fa Dio a permettere questo?”, non è un ormai banale “si Deus, unde malum?”, ma è una sincera ricerca di un significato (che può andare oltre la transitorietà della vita terrena) per il dolore e per la sofferenza di un bambino. È la ricerca di una speranza, di un insegnamento, di una verità.

That Dragon, Cancer – Recensione: In conclusione…

That dragon cancer

“That Dragon, Cancer” è l’opera di un autore, Ryan Green, che, trovando nel videogioco il suo medium naturale, lo ha sfruttato insieme a Numinous Games per raccontare un momento della storia della sua famiglia. Non è certo il primo caso del genere e non sarà l’ultimo: esistono ormai quasi due generazioni di persone e di autori cresciute con il videogioco, persone che troveranno sempre più facile e spontaneo usarlo per raccontare e per raccontarsi. L’arte digitale e interattiva sta muovendo i suoi primi passi oltre il dominio del solo essere gioco ma i risultati, come in questo caso, sono già potentissimi. Sono già capaci di spezzare il cuore. Non voglio dire che”That Dragon, Cancer” sia un videogioco perfetto, perché è realmente personale, privato, e quindi ricco di tutti i difetti, le incoerenze, le idiosincrasie dell’essere umano. Ma va bene così: è qualcosa di tremendamente vero, fatto di vera carne e di vero dolore, costruito con cura, amore e competenza. È un epitaffio sulla tomba di Joel e su quella di tante altre vittime del Drago, ma sa parlare di speranza.

That dragon cancer

A questo punto dovrei essere professionale. Dovrei mettere un voto alla grafica, un voto all’audio, un voto alla longevità e uno al gameplay, elencarvi i lati positivi e negativi del videogioco e dare poi un voto finale. Come a scuola, a un tema. Però la consegna del tema stavolta sarebbe “Raccontami la morte di tuo figlio” e no, proprio non me la sento. Non abbiamo gli strumenti, ancora, per giudicare un videogioco come “That Dragon, Cancer”, come non li abbiamo avuti per valutare “Depression Quest” di Zoe Quinn o “My Angelical Understanding” di Porpentine. Almeno, io non li ho. Siamo bravi a dare voti a idraulici che saltano su funghetti o a scienziati che si fanno strada a colpi di grimaldello in mezzo a un’invasione aliena inter-dimensionale. Lo abbiamo imparato dalle riviste degli anni 90, quando ancora il progresso grafico e tecnologico contava più di tutto, portava nuovi contenuti e non solo più poligoni, portava il 3d dove prima avevamo avuto solo la bidimensionalità. E insomma, non sono in grado di dirvi quanto gli autori sono stati bravi, da 1 a 10, a raccontare la storia di una famiglia che affronta il lungo addio a un figlio ancora bambino. Ma sono stati molto bravi.

Potrebbe piacerti anche