Layers of Fear – Recensione

Tardo Ottocento, torno a casa ubriaco. Dovrei finire il mio quadro, il mio capolavoro, l’opera che finalmente mi ridarà la fama che negli anni ho perso. Ero un pittore famoso un tempo, ero un pittore acclamato. Poi è successo qualcosa, qualcosa che il protagonista sa ma io, il giocatore, ignoro. Avevo una moglie… perché non è in casa? Avevo una figlia… dove si trova? C’era un cane qui: ho trovato la sua museruola… ma lui dov’è? Al principio, “Layers of Fear” sembra un normale videogioco esplorativo in prima persona, come “Gone Home”: sembra che io abbia una casa da esplorare per scoprire i segreti dei suoi inquilini.

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Layers of Fear – Recensione: Ambientazione

L’inizio di “Layers of Fear” vuole darmi un’impressione di noto, di reale, di quotidiano. La casa è un luogo meraviglioso da esplorare, in effetti, un luogo pieno di oggetti da guardare, di dettagli, di quadri barocchi, e tutto è realizzato con una grande qualità grafica capace di far sembrare ogni cosa concreta e palpabile. Un’idea deliziosa, in un gioco che comunque ha come sua meccanica base il camminare, l’esplorare, è stata quella di caratterizzare il protagonista attraverso proprio il suo modo di camminare: in “Layers of Fear” zoppico, leggermente ma sensibilmente, perché una delle mie gambe è sostituita da una protesi di legno.

Quando finalmente riesco a raggiungere e aprire il mio studio, a mettermi al lavoro sul mio quadro, il prologo del gioco finisce e “Layers of Fear” diventa l’esplorazione di uno spazio sempre mutevole e labirintico, abitato da incubi e ricordi. La casa non è più un luogo reale da esplorare e conoscere, ma un percorso (quasi) lineare nella psiche del protagonista, una matassa architettonicamente impossibile capace di trasformarsi appena distolgo lo sguardo. Le ambientazioni e gli oggetti che incontro assomigliano a quelli che ho visto nel prologo, ma sono loro versioni sempre più corrotte, più sbagliate, più inquietanti. In una scena, per esempio, rivedo la natura morta che il protagonista tiene in cucina ma ora il quadro vomita i frutti che sono dipinti sulla sua tela. In un’altra, la camera abbandonata di mia figlia viene invasa dalle bambole che le regalavo ossessivamente e che ora hanno preso vita. La definizione di uno status quo iniziale che poi viene distrutto e sconvolto è convenzionale, ma ancora efficace. Il problema è che il protagonista conosce, sin dall’inizio, tutto quello che io devo invece scoprire: non mi sento mai davvero immedesimato in lui, il nostro non è mai un cammino comune. Lui sa, io no.

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Layers of Fear – Recensione: Un tunnel degli orrori

Ancora più problematico è cosa “Layers of Fear” diventa dopo il prologo, quando inizio a esplorare la versione della casa deformata dalla psiche del pittore. Perché da quel momento “Layers of Fear” diventa un tunnel degli orrori da Luna Park. È un tunnel degli orrori graficamente ben realizzato e pieno di dettagli, ed è anche visionario in certi momenti. Ma è un tunnel degli orrori, un intrattenimento facile privo di qualsiasi profondità narrativa e intenzionato solo a spaventare, a spaventare di nuovo e a spaventare ancora. “Layers of Fear” è una semplice collezione di jumpscare, di facili spaventi, messi uno dopo l’altro.

Allora cammino in un corridoio e si rompe una finestra (senza nessun motivo), mentre la banale colonna sonora accompagna rozzamente il “Buh”. Cammino in un altro corridoio e i libri di uno scaffale volano e sbattono contro i muri, anche loro accompagnati dal solito improvviso crescendo musicale. Uno dei tanti quadri che abitano le pareti della casa si scioglie davanti ai miei occhi, un coltello da cucina si conficca davanti a me, una donna devastata da ustioni spunta all’improvviso e mi strangola… “Layers of Fear” è un accumulo di eventi paurosi messi uno dopo l’altro un po’ a caso. “Buh”, “Buh” e ancora “Buh”. Il risultato, nonostante i momenti davvero affascinanti che il gioco riesce a realizzare grazie anche alla sua bellezza visiva, è un’esperienza un po’ sciocca e ridicola. Non voglio negare che tutti questi “Buh” sottolineati dal solito “Dadadaaaan” musicale siano effettivamente spaventosi e che molte delle scene siano effettivamente ben fatte, ma dopo un po’ inizio a ridacchiare di fronte alle situazioni sempre più estreme di “Layers of Fear”, come se cercassi qualcosa di diverso, un’emozione che sappia bilanciare i jumpscare e variare il ritmo monotono del gioco.

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Layers of Fear – Recensione: Terror e Horror

E il ritmo è monotono perché non c’è mai anticipazione in “Layers of Fear”, non c’è mai suspense o attesa,  Proprio nell’Ottocento, nel 1826, l’autrice Ann Radcliffe pubblicò nella The New Monthly Magazine un articolo intitolato “On the Supernatural in Poetry”. L’articolo definisce per la prima volta i due concetti di Terror e Horror, centrali nel romanzo gotico che, attraverso autori come Poe, si è evoluto nella moderna letteratura (e nell’arte in generale) horror. “Terror e Horror sono tanto opposti tra loro che il primo espande l’anima ed eleva le facoltà umane a livelli maggiori, mentre l’altro le contrae, le congela e quasi le annichilisce. […] E dove sta la differenza tra Horror e Terror se non nell’oscura incertezza che accompagna il primo dei due, incertezza di un male che ci fa paura?” “Layers of Fear” vanta un’ambientazione ottocentesca, una trama che vuole essere gotica, ma non ha capito o non conosce la natura del gotico, del Terror, di questa attesa incerta del male.

Quando gioco ai videogiochi di Frictional Games, a “Penumbra” o ad “Amnesia: The Dark Descent”, quello che temo è di incontrare il male. Non mi serve essere circondato da nemici o da eventi che fanno “Buh” per essere spaventato, perché un solo incontro con uno degli orrori di questi giochi (soprattutto nel secondo “Penumbra” e in “Amnesia: The Dark Descent”) può distruggermi i nervi, può uccidermi. Ho paura della paura che potrei avere. E quando poi incontro davvero un mostro ecco che la tensione, il Terror, si scarica tutta finalmente nell’Horror, nella concretezza insieme attesa e improvvisa del male che temevo.

Layers of Fear – Recensione: Trama

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Anche la trama e l’ambientazione ottocentesca di “Layers of Fear” sono deludenti. Il cammino del protagonista, che apparentemente è perfettamente lineare, riserva in realtà delle scelte che il giocatore si trova a fare quasi senza accorgersene e che possono portare a tre diversi finali che dipendono dal mio comportamento e da ciò che ha guidato le mie azioni durante la partita. Cosa mi interessa veramente? Sono riuscito a scegliere tra la mia famiglia e la mia arte o sono rimasto sospeso nel mezzo, chiuso in un ciclo infinito? “Layers of Fear” decide questo a seconda di dove vado, di quali incontri faccio, di quali oggetti raccolgo e anche di quali osservo. La meccanica è interessante, e mi ricorda un po’ quella di “Silent Hill: Shattered Memories”, in cui il gioco cerca di capire le mie paure dai miei comportamenti per poi modellarsi e modellare il finale secondo la mia psiche. Ma è una meccanica sprecata nei corridoi stipati di jumpscare senza alcun peso narrativo di “Layers of Fear” e nella sua storia stereotipata.

La caratterizzazione del personaggio principale, per esempio, non sa andare oltre i soliti stereotipi dell’artista dannato e del suo blocco creativo, delineando alla fine un uomo banale e odioso, snob e apparentemente privo di una qualsiasi poetica. Perché “Layers of Fear”, nonostante il suo titolo, discute pochissimo di arte o dell’arte del suo protagonista, e la tragedia che muove il gioco è, alla fine, prettamente personale e familiare. A volte, sembra che gli autori volessero effettivamente fare un discorso sulla bellezza, sulla sua ricerca, sul suo consumarsi e corrompersi, ma tutto resta incompiuto, resta sullo sfondo, resta il mero tema per la giostra paurosa di un parco divertimenti.

Layers of Fear – Recensione: In conclusione…

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“Layers of Fear” è un tunnel degli orrori da Luna Park a tema “artista ottocentesco dannato”. In un’ambientazione dettagliata e graficamente ben realizzata attraverso una collezione di jumpscare, spesso banali ma a volte abbastanza visionari da essere interessanti, che mi vengono lanciati addosso senza alcun ritmo, alcuna narrazione, alcun gusto, mentre una  convenzionale colonna sonora horror sottolinea i vari “Buh” con il “Dadadaaan” d’ordinanza. Il risultato è effettivamente spaventoso, ma sciocco, facile, privo di qualsiasi profondità (come la sua trama) e, andando avanti, persino un po’ ridicolo e soprattutto noioso. “Layers of Fear”, sviluppato da Bloober Team e prodotto da Aspyr Media, è disponibile a €19,99 per PC, Mac e Linux (su Steam), PlayStation 4 e Xbox One, nel caso vogliate comprarlo nonostante i miei avvertimenti.

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