Abzû vs Journey: non è facile essere poetici – Il mondo di Sofia

Ho giocato recentemente “Abzû” (trovate qui la recensione del nostro Giovanni), titolo d’esordio dei neonati Giant Squid. Esordio per modo di dire, visto che il cofondatore dello studio è Matt Nava, precedentemente art director presso thatgamecompany (lo studio che ha creato “Flower” e “Journey”) e il compositore è Austin Wintory, che di “Journey” ha composto la colonna sonora. “Journey” è uno dei miei giochi preferiti: capirete che questo, unito alle recensioni estremamente positive che leggevo, mi ha portata ad approcciare “Abzû” con aspettative molto alte. Per la maggior parte disattese.

I primi minuti di “Abzû”, in verità, sono stati bellissimi. Mi sono ritrovata a pelo d’acqua a impersonare una creatura strana e delicata, muta da sub nera, casco e pinne gialle. Il mare, un cielo carico di nuvole. Fuori, nel mondo reale, un torrido agosto. Immergersi è stato una gioia per i sensi. Sotto la superficie dell’acqua un mondo colorato, pieno di vita, di meraviglia e di musica celestiale. Mi preparavo a passare qualche ora di completa estasi. Ma ahimè, avevo parlato troppo presto.

Un cielo nuvoloso, e un mare immenso: Abzû inizia così
Un cielo nuvoloso, e un mare immenso: “Abzû” inizia così

Abzû vs Journey: forma e sostanza

Il problema di “Abzû”, a mio parere, è che è “troppo simile a Journey”. Non solo nell’intenzione o nel linguaggio: “Abzû” riprende pari pari la struttura di “Journey” semplicemente incollandoci sopra una storia diversa.  La dinamica del gioco è la stessa: alternanza di semplici puzzle ambientali e momenti di corsa insieme alle creature marine. Anche qui avremo la meditazione, che si trasforma in una modalità “enciclopedica” che permette di vedere nome e aspetto delle singole specie di pesci (molto interessante, ma qual è il nesso con l’atto di meditare?), e ritroviamo persino il suono di “richiamo” ed è quasi identico. La sensazione è di giocare una copia, un sequel, non un’opera autonoma.

In “Journey” tutti gli elementi formano un insieme coerente che dà vita a una narrazione poetica e non verbale, fatta di azioni, immagini e suoni. Sebbene il suo linguaggio sia simile a quello del precedente gioco di thatgamecompany, “Flower”, la struttura narrativa e le meccaniche di gioco sono differenti, come diversa à la storia che le due opere raccontano. In “Journey” non ho trovato nulla di pretestuoso: tutto aveva un senso, rientrava nella logica di una narrazione piuttosto chiara, riferita ad un archetipo potente (il viaggio come iniziazione, come metafora della vita). I movimenti fluidi della telecamera, la struttura dei puzzle, la relazione con le creature intorno: anche questo, insieme alla musica e ai visual eccezionali, ha contribuito a rendere “Journey” un’esperienza immersiva, poetica e commovente. “Abzû” in questo fallisce. Le recensioni lodano la straordinaria maestria visiva, la bellezza delle musiche, la piacevolezza di nuotare in questi ambienti curati, ma raramente si spingono oltre. “Abzû” fa del game design una questione di forma: mancano la sensibilità poetica, la visione globale, l’occhio registico.

L'immagine manifesto della metafora che sta alla base di Journey
L’immagine manifesto della metafora che sta alla base di “Journey”

Abzû vs Journey: dissociazione e coinvolgimento

La storia di “Abzû” non è chiara ma al contrario misteriosa, complessa e molto intrigante. Troppo diversa da “Journey” per stare nella stessa struttura e pretendere di restituire lo stesso effetto onirico poetico. La sensazione che ho avuto, per la maggior parte del tempo, è che quello che stavo vivendo tramite le azioni nel gioco non fosse emozionalmente coerente con l’atmosfera, con quella sonora e più raramente con quella visiva, e questo ha generato un effetto di dissociazione per niente piacevole. I punti in cui sono riuscita ad emozionarmi sono stati, non a caso, quelli in cui l’influenza di “Journey” si sentiva meno, in cui il gioco si apriva ad atmosfere diverse. In quei momenti, nei quali si dimenticava la presenza oppressiva dell’opera di riferimento e il gioco aveva il coraggio di essere qualcos’altro, gli elementi trovavano una loro coerenza e l’esperienza di gioco diventava improvvisamente coinvolgente.

Uno dei momenti che mi hanno emozionata di più in Abzû
Uno dei momenti che mi hanno emozionata di più in “Abzû”

Ecco, in conclusione posso dire che “Abzû” mi sembra una splendida occasione mancata: i presupposti per creare un gioco bellissimo c’erano tutti (la storia, l’ambientazione, la maestria visuale e compositiva) ma pecca di una certa superficialità nell’approccio alle problematiche di design  e alla complessità del medium videoludico. Superficialità che non riesco a perdonare a un team che si presenta in questo modo“Crediamo che i videogiochi possano essere più che un passatempo, possano essere un medium artistico che generi esperienze belle, significative e senza tempo per una vasta gamma di persone. Il nostro obiettivo è creare giochi che soddisfino questo potenziale. Ci sforziamo di creare esperienze innovative e profondamente commoventi che ispirino il giocatore, sfidino le convenzioni e spingano i limiti dell’intrattenimento interattivo in nuove, eccitanti aree.”

“Il mondo di Sofia” è la rubrica della sviluppatrice indipendente Sofia Abatangelo su Webtrek. Ne “Il mondo di Sofia”, Sofia racconta i suoi videogiochi, i festival e le opere altrui non come giornalista o critico ma attraverso gli occhi dell’autrice e dell’artista. Trovate i giochi di Sofia sulla sua pagina di itch.io, piattaforma di distribuzione digitale, e trovate qui una sua lunga intervista di presentazione in cui Sofia si racconta come videogiocatrice e come sviluppatrice.

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