Clash Royale e i rischi della monetizzazione nei giochi rivolti a bambini e ragazzini

Secondo la Provincia Pavese un ragazzino quattordicenne di Pavia si è rifiutato di andare a scuola in quanto era impossibile per lui, in classe, usare lo smartphone per giocare a “Clash Royale” di Supercell (Tencent). A quel punto i genitori si sarebbero finalmente preoccupati e, sei mesi fa, si sarebbero rivolti alla Casa del Giovane di Pavia, un centro di accoglienza e ascolto per le dipendenze dei minori, dove il ragazzino sarebbe stato seguito da uno psicologo e un neuropsichiatra.

La Provincia Pavese equipara la dipendenza del ragazzino a “Clash Royale” a quella del gioco d’azzardo sino a definire il videogioco, gratuito da scaricare ma dotato di micro-transazioni con valuta reale, come “videogioco on line con meccanismi simili al poker”, definizione assai azzardata per il gameplay di “Crash Royale”. Se volete approfondire la questione della monetizzazione nei giochi potete trovare qui una traduzione autorizzata del “Manifesto del giocatore” di Richard Garfield, creatore di “Magic: L’adunanza”, dove viene ipotizzata una distinzione tra monetizzazione legittima e sfruttamento di debolezze e dipendenze dell’utente. Ma azzardata è anche la stima degli incassi del gioco: secondo la Provincia Pavese “Clash Royale” lanciato nel 2016, avrebbe “già reso 100 miliardi di dollari”, una cifra senza alcun senso anche nel mercato dei videogiochi per dispositivi mobili. “Crash Royale” ha invece incassato in meno di un anno, dal lancio sino a febbraio 2017, la elevatissima cifra di un miliardo di dollari. Allo stesso tempo Supercell non ha “100 milioni di utenti al mese” come è scritto nell’articolo, ma 100 milioni di utenti al giorno (forse il numero di utenti si riferisce unicamente a “Clash Royle” ma non capisco allora da dove venga l’informazione).

In nessuna parte dell’articolo viene scritto che il ragazzino in questione abbia una dipendenza da “Clash Royale” legata a una spesa nelle micro-transazioni del  gioco, ma Pavia è da anni conosciuta come “la capitale italiana del gioco d’azzardo”, l’attenzione su questi temi è quindi laggiù molto alta e non sono ignoti casi di bambini tanto presi da giochi con sistemi di monetizzazione, in parte o totalmente basati anche sulla casualità delle loro ricompense, da rubare le carte di credito ai genitori per pagare le loro spese. La dipendenza da videogiochi è comunque nota da molto prima dell’avvento delle micro-transazioni, e dipende più dal senso di soddisfazione, e dall’assenza di pause e ritmi ciclici, che il videogioco multiplayer offre ai suoi giocatori. “World of Warcraft” è stato probabilmente il primo gioco a portare all’attenzione dell’opinione pubblica queste problematiche, anche per la sua diffusione. Andrebbe poi anche discusso il ruolo di certi YouTuber, guardati soprattutto da bambini, che continuamente pubblicizzano e spettacolarizzano questi giochi e le loro micro-transazioni senza neanche esattamente specificare quale sia il loro rapporto lavorativo con le compagnie di cui parlano. Tutte questioni che diventano sempre più importanti in un mercato videoludico che, in Occidente, occupa con giochi dotati di micro-transazioni soprattutto i bambini (in Cina, Corea e Giappone micro-transazioni e giochi free-to-play hanno invece sostituito qualsiasi altro modello economico).

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