Dota 2 vuole diventare più accogliente verso i nuovi giocatori

Per quanto io apprezzi “Dota 2” mi è sempre difficile consigliare a qualcuno di provarlo. Posso consigliare “Awesomenauts”, un MOBA 2D a scorrimento orizzontale, posso persino consigliare “Heroes of the Storm”, il MOBA di Blizzard Entertainment, ma mettere qualcuno che non ha dimestichezza col genere (o ancora meglio col primo “DotA”, mod di “Warcraft 3: Reign of Chaos”) di fronte alle regole a volta incomprensibili di “Dota 2” vuol dire pretendere molto del suo tempo, decine di ore o anche centinaia di ore, prima che possa davvero godere dell’esperienza e capirla.

Non è solo per l’estrema ricchezza delle meccaniche, per la quantità di personaggi, abilità e oggetti (e interazioni tra essi) ma anche per un difetto di design intrinseco proveniente da come “DotA” si è sviluppato da ripetuti aggiornamenti, iterazioni e tentativi sino ad arrivare a “Dota 2”, che soprattutto nelle sue prime versioni era quasi l’equivalente videoludico de “L’Odissea” omerica: una sistematizzazione ufficiale di qualcosa cresciuto nel tempo, raccontato in modi diversi da persone diverse e fortemente influenzato dai limiti anche formali in cui si era sviluppato (nel caso di “DotA”, dall’World Editor di “Warcraft 3: Reign of Chaos”). “DotA” fu creato da Kyle “Eul” Sommer nel 2002, passò poi a Meian e Ragn0r con “DotA Allstars”, poi lo sviluppo di “DotA Allstars” andò a Stephen “Guinsoo” Feak, poi a Neichus e Abdul “IceFrog” Ismail, ma tutto nacque da “Aeon of Strife” (1997), mappa personalizzata per “StarCraft”, e solo con Guinsoo e IceFrog “DotA” smise di essere incentrato sul PvE, come “Aeon of Strife”, e si concentrò invece sul PvP. E non bisognerebbe dimenticare tutte le varianti alla formula che nei primi anni contribuirono con la loro sperimentazione a dare una direzione anche a “Dota Allstars” e a mantenere viva la comunità. Varianti difficili da ritrovare o di cui sono a volte ignoti gli autori, nascosti dietro nickname. La mappa di “Dota 2”, i tre sentieri che collegano le basi delle due squadre e che sono percorse da truppe controllate dall’Intelligenza Artificiale, le torrette che rallentano l’avanzata nemica, la “giunga” (“jungle”) al di fuori da questi sentieri, giungla in cui si trovano creature neutrali da sconfiggere per ottenere vantaggi, ha un aspetto artificiale, arbitrario nella sua asimmetria, ma viene da questa ormai lunga tradizione che la ha raffinata nel tempo.

E, nonostante il lavoro di Icefrog e Valve su “Dota 2”, il gioco ha ancora l’aspetto di una creatura ipertrofica, nata da anni di narrazione orale e non dall’opera di un designer unico con obiettivi sempre coerenti. Qualcosa di difficile da avvicinare e da capire. Ma, in un nuovo post sul blog di “Dota 2”, Valve spiega come intende rendere l’esperienza almeno un po’ più accogliente: per le sue prime 25 partite un nuovo giocatore sarà limitato a una scelta tra solo 20 Eroi tra gli oltre 100 di “Dota 2” (spero che la scelta di Eroi sia più adatta e bilanciata rispetto a quella, un po’ strampalata, della modalità “Eroi Limitati”) e il matchmaking sarà organizzato in modo da inserire i nuovi giocatori in squadra con persone con valutazioni elevate per il loro comportamento, cioè con persone gentili. Sono due piccoli cambiamenti che possono influire enormemente sull’esperienza di gioco, semplificando le prime partite e non facendo fuggire i giocatori meno esperti a causa dei comportamenti, spesso (spessissimo) tossici dei giocatori abituali. Durante The International, torneo mondiale di “Dota 2” che chiude in estate (dal 7 al 12 agosto) la stagione competitiva annuale del gioco, sarà disponibile quest’anno anche l’amato “newcomer stream”, una diretta pensata proprio per chi il gioco non lo conosce o lo conosce poco e che si concentra sullo spiegare le meccaniche e i personaggi e cosa stia succedendo durante le partite. Stream già sperimentato nel 2015, assente nel 2016 ma che son contento di ritrovare nel 2017. Perché anche io non è che ci abbia mai capito troppo in “Dota 2”.

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