Gli eSport non sono sport e non dovrebbero essere disciplina olimpica

Dopo la riunione che si è tenuta a Losanna il Comitato Internazionale Olimpico (C.I.O.) ha diffuso un comunicato in cui tra i risultati dell’incontro elenca la decisione di riconoscere i videogiochi, o meglio gli eSport, come attività sportiva e disciplina agonistica, nonostante la nota contrarietà del presidente Thomas Bach. “Gli eSport competitivi potrebbero essere considerati come una attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e si allenano con un impegno che potrebbe essere comparabile a quello degli atleti negli sport tradizionali”. Per essere ammessi alle Olimpiadi, però, gli eSport devono anche garantire il rispetto dei valori olimpici e creare strutture e organizzazioni capaci di reprimere fenomeni come il doping, le scommesse non regolamentate e la manipolazione dei risultati delle partite, ma il C.I.O. auspica una futura collaborazione con l’industria del videogioco perché ci sia effettivamente un’evoluzione in questo senso.

Non è la prima volta che si parla di ingresso degli eSport nelle competizioni sportive tradizionali. Gli eSport sono già parte delle competizioni dei Giochi asiatici a arti marziali indoor (e per un decennio son stati premiati con medaglie), verranno giocati  (ma non saranno tenuti tornei e premiazioni) nei Giochi Asiatici del 2018 in Indonesia e diventeranno sport competitivi e premiati con medaglia nei Giochi Asiatici del 2022 in Cina (Hangzhou) grazie alla collaborazione con Alisports, parte del gigante Alibaba, praticamente l’Amazon cinese. I Giochi Asiatici sono il più grande evento polisportivo al mondo dopo i Giochi Olimpici. Anche gli organizzatori delle Olimpiadi del 2024 di Parigi avevano parlato (prima che fosse loro effettivamente assegnato il ruolo di organizzatore) della possibilità di includere i videogiochi all’interno del programma dell’evento e la Federazione internazionale degli eSport della Corea del Sud, organizzazione su cui proprio Alisports ha investito pesantemente (150 milioni di dollari nel 2016), aveva chiesto al Comitato Internazionale Olimpico di considerare gli eSport come competizioni ufficiali come è poi effettivamente avvenuto.

In realtà il vero motivo della discussione sull’inclusione degli eSport all’interno delle Olimpiadi è esplicitato nel primo punto della sezione dedicata all’argomento nel comunicato stampa: “gli Esport stanno mostrando una forte crescita, specialmente nel pubblico giovane e attraverso diversi Paesi, e possono diventare una piattaforma per avvicinare questo pubblico al movimento olimpico.” Sam Mathews, fondatore di Fnatic, arrivò a dichiarare che “gli eSport sono un’attività della gente comune all’interno di ogni comunità, dove i giovani li sentono come la loro miglior possibilità, il loro sport naturale, e i ragazzi mostrano su patriottismo e passione proprio per quelle cose che vedono all’interno della loro società. In sostanza, se il Consiglio olimpico vuole continuare a significare qualcosa per i giovani è inevitabile [che gli eSport siano sport olimpico].” La perdita di pubblico (televisivo) tra i 18 e i 34 anni è diventata tanto grave dopo le Olimpiadi di Rio del 2016 da provocare un insensato articolo di Bloomberg, che dà la colpa ai millennials, e la preoccupazione sia del Comitato Internazionale Olimpico sia dei suoi media partner come la NBC. Anche la Rai, pur tentando di presentare in modo positivo i dati di ascolto comunque elevati, ha subito il calo di popolarità delle Olimpiadi. Non è detto che le Olimpiadi stiano effettivamente perdendo pubblico, ma è certo che gli interessi di chi le segue e le piattaforme di fruizione dell’evento stiano cambiando e il C.I.O. vuole seguire questo cambiamento spostandosi su sport digitali e piattaforme digitali. E Alibaba, che sta tanto lavorando per l’inclusione degli eSport tra Giochi Asiatici e Olimpiadi, è diventata uno dei principali sponsor proprio delle Olimpiadi con un accordo che in undici anni porterà ai giochi qualcosa come 800 milioni di dollari. Un accordo che potrebbe aver spinto il Comitato Internazionale Olimpico a considerare con attenzione le posizioni di Alibaba e Federazione internazionale degli eSport della Corea del Sud sull’inclusione dei videogiochi.

Ma gli eSport non sono sport, sono videogiochi. Normalmente la discussione sulla differenza tra eSport e sport, e soprattutto tra Esport e sport olimpici, si concentra sul fatto che nei videogiochi manchi l’attività fisica su cui invece sono incentrati tutte le competizioni delle Olimpiadi, come detto anche dal presidente Bach, ma alle Olimpiadi esistono sport come il tiro a volo (e dal 1900) e penso che sia interessante che nonostante la richiesta di inclusione due attività competitive di altissimo livello e storicamente radicate  come bridge e scacchi non siano ancora incluse tra le competizioni delle Olimpadi mentre si discute dell’inclusione degli eSport. È interessante perché, mi pare, confermi che il Comitato Internazionale Olimpico sia prima di tutto interessato non agli eSport ma al loro pubblico: scacchi e bridge sono stati rifiutati come nuovi sport ai giochi di Tokyo del 2020, ma sono stati nuovamente inclusi baseball e softball (già presenti in passato) perché, dichiara il Comitato Internazionale Olimpico, “vogliamo portare gli sport ai giovani. Con tutte le opzioni che i ragazzi hanno non possiamo pretender più che siano loro a venire da noi. Dobbiamo essere noi ad andare da loro” e baseball e softball sono sport ancora popolari in Giappone, più che negli Stati Uniti d’America.

Ma vorrei concentrarmi soprattutto su un’altra questione, posta correttamente da Chester King, presidente della British eSport Association: “Non penso che vedrete mai eSport alle Olimpiadi, perché non saprebbero quali titoli scegliere. Devi considerare più di 35 titoli diversi, e si tratta in tutti i casi di grandi prodotti commerciali. Nessuno possiede il calcio, nessuno possiede il golf. Ma se le Olimpiadi tenessero un torneo di Counter-Strike le vendite del gioco esploderebbero.” Sport sono stati aggiunti e tolti dalle Olimpiadi durante la storia dell’evento, ma nessuno di quest sport aveva un proprietario, nessuno di questi sport era un marchio commerciale. Il calcio per esempio è un sistema di regole, un gioco, come tale non può essere posseduto da qualcuno e anche se il calcio delle Olimpiadi segue (anche per motivi di buon senso) le regole FIFA sono sempre esistite differenze e contrasti tra FIFA e C.I.O. fino agli accordi che hanno trasformato progressivamente il calcio olimpico in una specie di mondiale Under-23. Come sarebbe possibile realizzare una cosa del genere con, per esempio, i MOBA? Non esiste “il MOBA” come eSport, ma esistono diverse varianti commerciali di questo genere (“Dota 2”, “League of Legends”, “Heroes of the Storm”, “Smite”, “Honor of Kings”…) ognuna proprietà di qualcuno e ognuna in crescita in direzioni diverse con regole continuamente mutate dai loro proprietari e fuori dal controllo del Comitato Internazionale Olimpico.

Appunto le regole costituiscono un grave problema nella trasformazione degli eSport in sport olimpico: le regole degli eSport sono non solo mutate liberamente dalle compagnie, ma in realtà sono anche ignote al pubblico. Conosciamo le regole di “Starcraft 2”, di “Counter-Strike: Global Offensive”, di “FIFA 18” solo a un livello superficiale, solo nella loro manifestazione evidente o dichiarata: conosciamo la fenomenologia di queste regole, ma non abbiamo legittimamente accesso al codice dei giochi per conoscerle davvero. Alcuni giochi hanno regole segrete che non vengono mai svelate dagli sviluppatori e a volte non vengono mai scoperte neanche dai giocatori, regole inserite anche in buona fede dagli autori per migliorare il gioco dal punto di vista artistico o esperienzale ma che dovrebbero essere spiegate ed effetivamente verificate dal Comitato Internazionale Olimpico per non trovarci di fronte al primo caso di sport in cui parte delle regole siano sconosciute al giocatore. E siccome i videogiochi sono proprietà di compagnie, e le compagnie hanno sede nell’una o nell’altra nazione, chi verificherà che il codice di un certo gioco sviluppato in una certa nazione non sia manipolato per avvantaggiare i giocatori di quella nazione alle Olimpiadi? Sì, è una ipotesi complottista e bislacca, ma chi verificherà che sia davvero bislacca? Chi assicurerà che non sia in corso un doping di Stato manipolando non i giocatori ma il gioco quando società come Tencent (“League of Legends”) son tanto strettamente legate al loro governo e lo Stato vorrebbe persino avere un ruolo al loro interno?

C’è infine il problema, sollevato già dal Comitato Internazionale Olimpico, dei “valori olimpici” che ogni sport deve osservare per essere ammesso e che, come fece notare il presidente del C.I.O. Bach, i videogiochi spesso non rispettano.  “Vogliamo promuovere una società senza discriminazione, senza violenza e fatta di pace. Questo non ha niente a che fare coi videogiochi che parlano di violenza, esplosioni e uccisioni. Dobbiamo tirare una linea ben precisa.” Quindi gli unici eSport che sarebbero tenuti in considerazione per le Olimpiadi sarebbero quelli che simulano sport reali, magari già olimpici, come “FIFA 18”. E sempre i valori olimpici pongono problemi nell’implementare all’interno delle Olimpiadi gli eSport in quanto marchi commerciali, poiché le Olimpiadi sono nate come evento per i dilettanti e non come occasione di guadagnar denaro, e anche se questo concetto è quasi scomparso con gli anni Novanta le regole per mostrare sponsorizzazioni e marchi sono state a lungo molto stringenti, mentre gli eSport diventerebbero enormi pubblicità alle loro compagnie. Anche questa parte della regolamentazione sta però scomparendo, trasformando definitivamente le Olimpiadi in occasioni promozionali e, in qualche modo, facilitando anche l’avvento di quelli che potremmo considerare i primi sport interamente sponsorizzati (e posseduti) da una compagnia: gli eSport.

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