CUS di Milano apre agli eSport, ed è una pessima idea

Leggo da un comunicato stampa pubblicato sul sito Everyeye che il Centro Universitario Sportivo Statale di Milano (il CUS della sua Università) voglia annunciare la sua apertura agli eSport durante la premiazione dei Campionati di Facoltà, premiazione che si terrà venerdì 15 dicembre 2017. Con questo atto l’Università di Milano inizierà a promuovere attivamente l’inclusione degli eSport nelle proprie attività sportive istituzionali.

Nel 2018, per esempio, i Campionati di Facoltà vorrebbero aggiungere a calcio, pallavolo, pallacanestro e corsa anche eSport come League of Legends e Overwatch grazie alla collaborazione di University Esports Series, una iniziativa di Personal Gamer intesa a introdurre gli eSports nelle università per arrivare alla creazione di una vera e propria lega universitaria europea per gli eSport.

La discussione sull’introduzione degli eSport tra gli sport tradizionali si è intensificata da quando il CIO, il Comitato Internazionale Olimpico, ha affermato che il videogioco competitivo abbia effettivamente le caratteristiche per essere considerato uno sport. In realtà, ed emerge bene dalle stesse dichiarazioni ufficiali, il CIO è soprattutto interessato al giovane pubblico degli eSport, temendo una perdita di interesse negli sport tradizionali e quindi nelle Olimpiadi (e una perdita di valore dei loro diritti televisivi).

Ma gli eSport, gli eSport come sono intesi oggi almeno, non sono sport. Gli eSport sono prodotti commerciali possedute da aziende private che ne controllano il codice, quindi il regolamento, ne modificano le regole a piacere e ne gestiscono le competizioni essendone a tutti gli effetti i proprietari. Nessuno possiede il calcio, ma Blizzard possiede Overwatch.

Il riconoscimento di un eSport da parte di una università diventa quindi un importante appoggio ad alcuni marchi commerciali: con l’apertura agli eSport quello che l’Università di Milano farà sarà mettere al centro delle sue attività istituzionali e sportive marchi commerciali posseduti da aziende private.

La discussione sui rapporti tra università pubblica e industria privata è sempre stata delicata e molto sentita all’interno degli ambienti accademici. Da una parte l’assenza di rapporti ha negli anni creato importanti differenze tra quello che l’Università offre e quello che poi l’industria private richiede, differenze pericolose in un periodo segnato dalla disoccupazione giovanile.

Ma dall’altra parte alcuni studenti sonno preoccupati per le possibili ingerenze dell’industria privata e dei suoi interessi in quello che invece dovrebbe essere uno spazio pubblico in cui la comunità cresce indipendentemente dalle necessità di qualche Società per Azioni [Disclaimer: l’autore di questo articolo ha attivamente collaborato alle manifestazioni del 2008-2010 contro la RIforma Gelmini e l’ingresso dei privati nelle nuove fondazioni universitarie].

Questa discussione è solo una piccola parte di quella, molto più ampia, dei rapporti tra Stato e impresa privata, e di quanto lo Stato debba riconoscere e supportare l’impresa come parte necessaria alla vita lavorativa e comunitaria dei suoi cittadini.

fonte Everyeye
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