PUBG non sarà vietato in Cina, anzi Tencent lo distribuirà ufficialmente

“PlayerUnknown’s BattleGrounds” non è ancora acquistabile ufficialmente in Cina, ed eppure proprio la Cina è lo Stato che ha più contribuito al suo successo, guidando la sua crescita di utenza anche mentre quella negli Stati Uniti d’America diminuiva. Alla fine d’ottobre “PlayerUnknown’s Battlegrounds” aveva circa sei milioni di utenti attivi dalla Cina e solo un milione e mezzo dagli Stati Uniti d’America, che era la seconda regione per numero di giocatori (nel grafico che vedete qui sotto, da Steam Spy, la seconda regione per numero di utenti è “ROW”, che significa “Rest of the World”): il 40% dei giocatori di “PlayerUnknown’s Battlegrounds” si trovano in Cina.

“PlayerUnknown’s Battlegrounds” non è arrivato ufficialmente in Cina perché è laggiù disponibile solo attraverso Steam, una piattaforma che in quel territorio, oltre a essere secondaria rispetto a WeGame di Tencent, sfugge alle regolamentazioni statali e vive quindi in un’area grigia di dubbia legalità destinata prima o poi a scomparire. “PlayerUnknown’s Battlegrounds” arriverà però anche ufficialmente in Cina, portato proprio da Tencent, il più grande produttore di videogiochi in Cina e al mondo, compagnia proprietaria di marchi come “League of Legends” e “Clash of Clans” e, in parte, proprietaria anche di Activision Blizzard ed Epic Games (“Unreal Tournament”, “Gears of War”).

Tencent, secondo quanto tradotto da Daniel Ahmad di Niko Partners, si impegnerà in Cina a eliminare dal gioco chi usa trucchi e a adattare l’opera di Bluehole perché rispetti le regole imposte dallo Stato (per fare un esempio, “Counter-Strike: Global Offensive” ha il sangue nero in Cina). Un’impresa facile per Tencent, che ha stretti rapporti col governo (è suo un recente “simulatore di applausi al regime”) e un’enorme influenza sull’intero mercato cinese. Questo risolverà i problemi che l’organo di regolamentazione dell’editoria audio-video e digitale cinese aveva sollevato, ipotizzando che “PlayerUnknown’s Battlegrounds” e in generale i giochi di genere Battle Royale potessero rivelarsi “dannosi per i giovani consumatori” a causa della loro incompatibilità coi “valori socialisti, la cultura cinese tradizionale e le norme etiche”. Insomma, per la loro violenza. La popolarità di PUBG in Cina ha sempre reso in realtà improbabile che il gioco venisse vietato sul territorio e la minaccia serviva probabilmente più che altro a spingere Bluehole a cercare una distribuzione ufficiale e controllata dal governo, ma la nuova collaborazione con Tencent rende il blocco del gioco sul territorio cinese praticamente impossibile (Tencent possiede anche il 5% di Bluehole). NetEase, rivale di Tencent, ha invece risolto aggiustando in modo furbo il suo Battle Royale, presentato ora come un videogioco di “addestramento militare” e quindi finalmente compatibile con gli ideali del regime cinese.

fonte Niko Partners Niko Partners Niko Partners
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