Videogiochi basati su cloud computing sono ancora lontani, dice ex-Lionhead

Il videogioco in streaming e il cloud computing sono considerati le prossime frontiere del videogioco. Microsoft vorrebbe lanciare un servizio di videogioco in streaming nei prossimi tre anni, Electronic Arts parla di un futuro in cui da qualsiasi piattaforma potremo a giocare a qualsiasi videogioco in qualsiasi momento grazie al cloud, GeForce Now, PlayStation Now e altri servizi già propongono la possibilità di giocare in streaming.

Si tratta, in sostanza, di giocare senza far eseguire davvero il software al proprio computer, alla propria console o al proprio smartphone. Il videogioco viene fatto girare su macchine remote che comunicano online con noi, ricevendo i nostri input e mandando sul nostro schermo il video del gioco.

In teoria, in questo modo uno smartphone con un controller Bluetooth potrebbe far girare al massimo delle prestazioni (restano solo i limiti legati alla risoluzione dello schermo o al supporto HDR) qualsiasi gioco, semplicemente perché il gioco non girerebbe sullo smartphone ma ci andrebbe solo in streaming sopra.

Microsoft ha sempre avuto l’idea di aumentare la potenza di Xbox One sfruttando in parte macchine remote. Crackdown 3, attualmente rimandato a data da definirsi, userebbe il servizio di cloud computing Azure della compagnia per gestire la fisica del suo multiplayer, ma non vediamo da tempo video di gameplay di questa modalità.

Don Williamson, ex-Lionhead e fondatore di Celtoys, non nega che sia questo il futuro ma ha spiegato a GamingBolt i problemi che ancora presenta l’ipotesi di usare il cloud computing per i videogiochi. “Abbiamo usato il cloud per decenni per il multiplayer e qualche gioco ha sfruttato server remoti per svolgere calcoli faticosi per videogiochi single player che possono essere condivisi. […] Nel lungo periodo, l’idea di giocare in sistemi isolati sfortunatamente perderà terreno quindi svolgere calcoli in remoto sarà logico.”

Ma quest’epoca è, secondo Williamson, ancora lontana. È lontana perché non c’è ancora l’infrastruttura internet necessaria per svolgere la maggioranza dei calcoli in remoto e poi comunicarli in streaming al giocatore, ed è lontana perché ancora c’è ancora una continua evoluzione a livello di processori (e qua mi sembra che Williamson voglia anche sottolineare una mancanza di interesse a rendere questo il modo più diffuso di creare videogiochi).

Sinora abbiamo visto soprattutto servizi che permettono di giocare in streaming a videogiochi sennò normalmente acquistabili e abbiamo visto giochi appoggiarsi per alcune cose al cloud ma senza metterlo al centro. Crackdown 3 potrebbe essere una delle prime vere prove di questo modo di implementare internet e videogioco, e il suo ritardo potrebbe suggerire effettivamente difficoltà in questo procedimento.

fonte Gaming Bolt
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