Destiny 2 ha di nuovo problemi a causa delle ricompense di un evento

Bungie lo ha fatto di nuovo: ha inserito un evento in Destiny 2 (una nuova Contesa di Fazione), non ha detto qualcosa di importante ai giocatori sul suo funzionamento, i giocatori se ne sono accorti, hanno protestato e lo studio ha dovuto scusarsi e promettere maggiore trasparenza per il futuro. Appena una settimana dopo aver pubblicato un lunghissimo post sulle novità in arrivo nel 2018, un post che doveva servire a inaugurare un’era di trasparenza per lo studio.

Anche il problema trovato dai giocatori è sempre il solito: chi gioca a Destiny 2 sente che Bungie limiti troppo la quantità di ricompense ottenibili. Durante l’evento natalizio, per esempio, le loot box esclusive dell’evento erano ottenibili gratuitamente solo in quantità limitata, mentre nella Contesa di Fazioni Bungie ha inserito un sistema che limita le ricompense per chi gioca troppo.

Durante gli eventi Contesa di Fazioni i giocatori che fanno parte di una delle tre fazioni del gioco (Orbita Morta, Culto Guerra Futura e Nuova Monarchia) competono per ottenere pegni di reputazione e far vincere la propria squadra. I pegni di reputazione possono essere ottenuti completando missioni, aprendo forzieri nei settori perduti e partecipando ad attività come le Prove dei Nove, i Cala la Notte e le Incursioni, e possono essere scambiati con engrammi di fazione, cioè loot box.

Bungie ha deciso di imporre limiti alla possibilità di guadagnare pegni di fazione, preoccupata soprattutto di chi per ottenerli approfittava degli scrigni nei settori perduti, riducendo l’evento a un andare avanti e indietro da una cassa da aprire.

Il problema che Bungie si pone è reale: come scoraggiare il grinding attraverso attività ripetitive e banali incoraggiando invece quelle più lunghe e interessanti? La risposta sarebbe “inserendo nel gioco solo attività lunghe e interessanti e non attività ripetitive e banali”, ma qualunque sia la soluzione scelta da Bungie è secondo me importante che sia trasparente e chiara ai giocatori.

Mentire al giocatore fa parte del game design. Mentire al giocatore vuol dire fargli avere paura durante una fuga in un videogioco horror anche se in realtà la sua vita non è a rischio, vuol dire farlo sentire felice dopo una dura battaglia in un videogioco d’azione, vuol dire dargli un’esperienza. Ingannare il giocatore è il game design, è la narrazione.

Ma, come ho spiegato in precedenza, la situazione cambia considerevolmente quando questo design è collegato a iniziative commerciali, cioè quando in un gioco vengono introdotte le micro-transazioni. Da quel punto in poi lo sviluppatore non può più ingannare, perché se inganna il giocatore sta ingannando un consumatore durante una compra-vendita.

In generale, tutto quello che accade in un videogioco con micro-transazioni va obbligatoriamente visto alla luce delle micro-transazioni e non più solo come nuda esperienza emotiva e ludica.

L’endgame dei videogiochi di ruolo in stile giapponese è stato per anni caratterizzato da un tedioso e forsennato grinding, la necessità di ripetere all’infinito le stesse azioni per aumentare cifre ormai senza valore (e, voglio sottolinearlo, questo design non è mai stato buono). Ma un endgame costruito sul grinding in un gioco con micro-transazioni acquista immediatamente un significato diverso, proprio come esperienza. Quel boss segreto è troppo difficile per me perché non sono avanzato abbastanza nella progressione del gioco o perché non ho pagato abbastanza? Quale è l’esperienza che il game designer voleva per me? Voleva creare una sfida? O voleva creare una compra-vendita?

Bungie continua a promettere maggiore trasparenza per Destiny 2 e continua a non darla, e anche in casi in cui le micro-transazioni c’entrano poco come questo della Contesa di Fazioni penso che sia un problema. Normalmente non ci troverei niente di male, anzi applaudirei a uno sviluppatore che gioca così con i suoi giocatori, che li inganna, che li delude, che crea qualcosa di inaspettato, ma in Destiny 2 comincio a pensare di trovarmi solo di fronte all’incapacità di uno studio a gestire un sistema economico.

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