Resident Evil 7 Beginning Hour recupera l’eredità di Sweet Home
“Abbiamo discusso molto tra di noi su dove sarebbe dovuta andare la serie [dopo Resident Evil 6]. Il mio capo, Jun Takeuchi, voleva che togliessimo tutto sino a lasciare solo il suo nucleo, e il modo migliore per esprimere l’orrore in modo diretto è la visuale in prima persona” dichiarò Masachika Kawata, producer di “Resident Evil 7 biohazard”, presentando il gioco all’E3. Con “Resident Evil 7 biohazard” Capcom vorrebbe quindi finalmente tornare a qualcosa che rappresenti lo spirito originale della serie “Resident Evil”, e per arrivare a questo è disposta a fare importanti cambiamenti al gioco e al suo gameplay. Cambiamenti già evidenti nella demo gratuita “Resident Evil 7: Beginning Hour”.
È difficile dire cosa sia “il nucleo” di “Resident Evil”, quale sia la sua identità come serie. Cosa viene in mente ai videogiocatori quando sentono il nome “Resident Evil”? Pensano all’horror esplorativo del “Resident Evil” originale (1996) di Shinji Mikami e a quello di “Resident Evil 2” (1998) di Hideki Kamiya? O pensano a “Resident Evil 3: Nemesis” (1999), cioè al primo “Resident Evil” orientato verso l’azione, con un numero maggiore di nemici e un’ambientazione che devo solo attraversare, continuamente spinto più in là da una progressione forsennata, e non più esplorare? A seconda di quando avete conosciuto la serie di “Resident Evil”, o di quale sia il vostro capitolo preferito, la risposta potrebbe essere diversa. Kawata non ha invece dubbi: il cuore di “Resident Evil” è l’orrore e, a giudicare da “Resident Evil 7: Beginning Hour”, per recuperare questo orrore bisogna tornare alle radici, al primo “Resident Evil” e anche a ciò che veniva prima di esso, cioè a “Sweet Home” per Nintendo Entertainment System.
Resident Evil 7 Beginning Hour recupera l’eredità di Sweet Home
“Sweet Home” (1989) di Tokuro Fujiwara, che sarà producer e creatore insieme a Shinji Mikami del primo “Resident Evil”, è un videogioco di ruolo in stile giapponese purtroppo mai uscito ufficialmente dal Giappone. Per una volta, vi consiglio di recuperare da internet un emulatore per NES (raccomando Nestopia) e la rom di “Sweet Home”, tradotta in inglese: è l’unico modo per provare questo capolavoro. “Sweet Home” è ambientato in una grande villa, una mappa intricata e interconnessa antenata di quella del primo “Resident Evil”, dove alterno il controllo di cinque personaggi (anche riunendoli in squadre di due o tre) e sfrutto i loro oggetti per risolvere enigmi ambientali con meccaniche che ricordano quelle di una avventura grafica. A questa parte esplorativa si alternano invece combattimenti casuali a turni in puro stile videogioco di ruolo giapponese, ma la scarsità di risorse (si può finire in situazioni in cui il gioco diventa incompletabile e va ricominciato da capo), la dimensione limitata dell’inventario e la permanenza della morte dei personaggi arricchiscono la formula di toni survival che si accompagnano all’ambientazione horror.
“Sweet Home” (uscito insieme a un film con lo stesso titolo e dalla trama simile) racconta di cinque documentaristi che si inoltrano nella villa dell’artista Ichirō Mamiya per recuperare gli affreschi nascosti al suo interno; i protagonisti restano però intrappolati per opera di un fantasma femminile, e devono esplorare la costruzione alla ricerca di una via di uscita. “Sweet Home”, che è un gioco Capcom come “Resident Evil”, fu il riferimento che l’azienda dette a Shinji Mikami. “Eravamo al dipartimento di Osaka di Capcom e il mio capo, Tokuro Fujiwara, mi chiamò per parlare. Disse che voleva che facessimo un gioco horror usando le meccaniche si Sweet Home” ha dichiarato Mikami parlando della nascita di “Resident Evil”.
Resident Evil 7 Beginning Hour: Gameplay e ambientazione
Ecco, giocando a “Resident Evil 7: Beginning Hour” demo e teaser giocabile di “Resident Evil 7 biohazard”, la sensazione che ho avuto è che il direttore, Koshi Nakanishi (“Resident Evil: Revelations”), avesse in mente più “Sweet Home” che il primo “Resident Evil”. “Resident Evil 7: Beginning Hour” mi rinchiude in una casa di campagna, apparentemente abbandonata, da cui devo trovare il modo di fuggire prima che i suoi ospiti mi catturino. Non si tratta, però, di un’esperienza in stile “Amnesia: The Dark Descent” o “Alien: Isolation”, non è un gioco che si concentra sul nascondersi nel buio evitando mostri invincibili e, anzi, presenta già accenni del sistema di combattimento (e delle armi) che troverò nel gioco completo.
“Resident Evil 7 biohazard” mi mette comunque in un ambiente da esplorare, da capire, in cui cercare oggetti nascosti e superare grazie a loro gli ostacoli che mi trovo davanti, e sembra a volte un’avventura grafica (proprio come lo sembrano le parti esplorative di “Sweet Home”). Delle tenaglie possono spezzare la catena che chiude un armadio, un piccolo grimaldello può scassinare la serratura di un cassetto, una manovella sostitutiva puà bastare per aggiustare l’impianto idraulico del bagno. E, intanto, esploro l’oscuro passato della casa, guardo la VHS abbandonata da un gruppo di documentaristi che stavano girando una serie televisiva spazzatura su case infestate e simili, mi perdo nei vari percorsi possibili alla ricerca dei tre finali di “Resident Evil 7: Beginning Hour”.
La casa di campagna di “Resident Evil 7 biohazard” è puzzolente, rivoltante, non assomiglia all’opulenta villa di “Resident Evil”. Cibo marcio ne riempie i corridoi e la cucina, ormai nutrimento per vermi e insetti più che per uomini. Travi mal inchiodate serrano alcune porte, come se qualcuno le avesse bloccate in fretta, per paura di cosa sarebbe potuto uscirne. Cadaveri umani, rinchiusi in sacchi di plastica, dormono appesi al soffitto della cantina. Gli ambienti di “Resident Evil 7 biohazard” sono mostruosi, una versione corrotta di una comune quotidianità persa da anni, ma credibili, ricchi di dettagli, di sporcizia, di storia.
Resident Evil 7 Beginning Hour: Resident Evil in prima persona
C’è una fisicità palpabile in “Resident Evil 7: Beginning Hour”. La prima persona non è trattata solo come una inquadratura, una posizione della telecamera di gioco, ma come un vero entrare in un corpo che si muove, si agita e si sbilancia. Se mi avvicino a una porta e la apro il personaggio allunga la mano, gira la maniglia e dà una piccola spinta, lasciandola solo socchiusa, e quando la attraverso vedo che il protagonista finisce di aprirla con naturalezza, durante il suo movimento. Se mi dirigo con troppa decisione contro un muro allungo una mano per bloccare la spinta. C’è un corpo dietro l’inquadratura, un corpo credibile quanto i corpi che incontro, quanto le stoviglie sporche della cucina, quando il letto sfatto della soffitta.
E la visuale in prima persona è forse il modo migliore per riproporre, oggi, le inquadrature costrette di “Resident Evil”, “Resident Evil 2” e “Resident Evil 3: Nemesis”. Oggi la sovrapposizione tra sfondi pre-renderizzati e modelli tridimensionali, l’impossibilità di muovere la telecamere e, soprattutto, i controlli rigidi e mai perfettamente funzionanti di questo sistema sarebbero inaccettabili, sarebbero solo la reliquia di un passato che si vuole imitare scimmiottando quelli che all’epoca erano limiti tecnici brillantemente sfruttati e trasformati in elemento narrativo e di gameplay (come la nebbia di “Silent Hill”). Ma la visuale in prima persona, e il buio che avvolge la casa di “Resident Evil 7: Beginning Hour”, restituiscono oggi quella difficoltà di lettura, quel senso di Ignoto, quella paura.
Resident Evil 7 arriva troppo tardi?
Ma forse “Resident Evil 7 biohazard” arriva in ritardo. “Resident Evil 4”, continuando la strada già iniziata da “Resident Evil 3: Nemesis”, abbandonò nel 2005 il genere survival horror, che era arrivato al culmine del suo successo ma non vendeva più quanto Capcom pretendeva, per abbracciare meccaniche da sparatutto. Deriva continuata sino allo sfacelo di “Resident Evil 6”, un videogioco di guerra con gli zombi con tre campagne, sei personaggi, multiplayer cooperativo e moltissimi Quick Time Event. Intanto il survival horror stava rinascendo grazie agli autori indipendenti, a opere come “Amnesia: The Dark Descent” e, appunto, all’uso della visuale in prima persona, del buio, dell’esplorazione. “Resident Evil 7 biohazard” cerca di recuperare il terreno perso da Capcom, sembra essere nella giusta direzione (nonostante un paio di inutili jump scare inseriti malamente in “Resident Evil 7: Beginning Hour”) ma l’idea stessa di avere un teaser giocabile non è alla fine che un rincorrere il cancellato “Silent Hills” di Kojima e del Toro e il suo P.T. (appunto “playable teaser”). E mi domando se anche “Resident Evil 7 biohazard” si limiterà a seguire strade già tracciate da altri. “Resident Evil 7: Beginning Hour” è disponibile gratuitamente come download su PlayStation 4, Xbox One e PC (via Steam): i contenuti della demo non saranno inclusi nel gioco completo, questa è quindi una possibilità di provare una storia parte del mondo di “Resident Evil 7” ma esclusiva e di acquisire, se risolverete il complicatissimo enigma del dito del manichino, un oggetto per il gioco completo.