Dishonored La morte dell’Esterno: dio e capro espiatorio – Recensione PC

Uccidere l’Esterno è in “Dishonored: La morte dell’Esterno” l’obiettivo di Daud e Billie Lurk, due personaggi presenti sin dall’inizio della serie “Dishonored” di Arkane Studios e Bethesda Softworks. Daud e Billie sono i contraltari di Corvo Attano, Protettore Reale (cioè guardia del corpo dell’Imperatrice) protagonista del primo e del secondo episodio, e di sua figlia Emily Kaldwin, ancora bambina in “Dishonored” ed Imperatrice e co-protagonista in “Dishonored 2”. Daud è stato l’assassino di Jessamine Kaldwin, madre di Emily e amante di Corvo, ed è stato protagonista dei DLC del primo “Dishonored”, mentre Billie Lurk è stata la sua complice, prima di tradirlo per allearsi con Delilah (antagonista sia nei DLC di “Dishonored” sia in “Dishonored 2”), ed è tornata in “Dishonored 2” nei panni di Meagan Foster, capitana priva di un braccio e di un occhio e proprietaria della nave che mi fa da base durante l’avventura. Come Daud dopo “Dishonored” anche Billie è in cerca di redenzione, redenzione per aver tradito il suo mentore, redenzione per aver scatenato gli eventi raccontati dalla serie, per aver aiutato Delilah, ed è ora alla ricerca di Daud, ormai un uomo anziano e morente, consumato dall’Oblio e deciso a finire i suoi giorni uccidendo l’Esterno, la divinità che dona la magia agli uomini (e ai protagonisti della serie, tra cui Daud stesso), colui che porta la misteriosa dimensione dell’Oblio nel mondo fisico.

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Ritorno a Karnaca

Questo vuol dire tornare ancora una volta nelle strade e negli edifici di Karnaca, il ducato in cui è ambientato anche “Dishonored 2”, un ducato che fa parte dell’Impero delle Isole e di un mondo dal gusto steampunk (ma senza energia del vapore) e vittoriano. Muovendomi con una visuale in prima persona devo completare una serie di missioni in grandi ambienti che mescolano interni ed esterni e mi offrono vie alternative più o meno nascoste e occasioni per sperimentare con i poteri magici e i gadget tecnologici dei protagonisti, in un mondo sospeso tra sovrannaturale e una rivoluzione industriale a base di olio estratto da enormi balene.

Mentre cerco il modo di uccidere l’Esterno, siccome le vecchie abitudini faticano a scomparire, ho anche l’occasione di tornare in azione accettando presso i Mercati Neri della zona vari Contratti, missioni secondarie con ricche ricompense ma completabili solo in un modo preciso. In una missione potrei dover uccidere un personaggio facendolo sembrare un incidente, quindi senza la possibilità di comportarmi in modo non letale e senza la possibilità di farmi scoprire da altri, mentre in un’altra potrei dover rubare un oggetto senza che nessuno si accorga del mio passaggio. I Contratti sono un’interessante variazione nel gameplay di “Dishonored”, sfide che invece che offrirmi un obiettivo e lasciarmelo completare come voglio mi obbligano a pensare a come arrivare a un certo obiettivo in un modo preciso e spesso difficile da attuare.

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Quale finale di Dishonored 2 è considerato canonico?

Narrativamente, “Dishonored: La morte dell’Esterno” rappresenta un caso strano. La serie “Dishonored” non ha mai vantato trame molto profonde o molto ben raccontate: ha una splendida mitologia, un’ambientazione accuratamente studiata e piena di cose da raccontare, tanti piccoli episodi e tante piccole vite accennate e interessanti da scoprire giocando, ma le sue trame principali si riducono a una serie di assassinii da portare a termine in ordine (anche eliminando i bersagli in modi non letali) sino a raggiungere un qualche obiettivo. “Dishonored: La morte dell’Esterno” è costruito un po’ diversamente, concentrandosi sul recuperare oggetti e indizi necessari per compiere un unico assassinio, quello dell’Esterno, e non mi dà un bersaglio da togliere di mezzo in ogni missione, ma nella pratica funziona ancora come il resto della serie.

Non aiuta ad aumentare la qualità e lo spessore della trama principale il fatto che la scrittura sembri aver incontrato qualche incidente di percorso durante lo sviluppo. Posso fare qualche ipotesi su cosa sia successo a “Dishonored: La morte dell’Esterno”, un gioco probabilmente nato all’inizio come DLC di “Dishonored 2” e poi trasformato in standalone per cercare di raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quello, forse troppo ristretto secondo Bethesda, raggiunto da “Dishonored 2”. La trasformazione ha causato problemi a livello di gameplay, e su questi tornerò dopo, ma deve essere successo anche qualcos’altro, qualcosa che ha danneggiato la narrazione della prima parte del gioco. Vedendo il trailer di “Dishonored: La morte dell’Esterno” mi ero stupito del fatto che Billie Lurk avesse un braccio e un occhio artificiali, costruiti con artefatti magici dell’Oblio, al posto dell’occhio e del braccio mancanti in “Dishonored 2”. Ero sorpreso perché nel miglior finale possibile in “Dishonored 2” Billie ha ancora sia il suo occhio sia il suo braccio e siccome sinora Arkane ha considerato canonici solo i finali migliori di ogni gioco e di ogni DLC di “Dishonored” sarebbe stata una strana eccezione avere all’inizio di “Dishonored: La morte dell’Esterno” Billie senza occhio e braccio.

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E, infatti, Billie ha sia l’occhio sia il braccio all’inizio di “Dishonored: La morte dell’Esterno”, che prosegue dal finale migliore di “Dishonored 2”. La mia sensazione è che gli sviluppatori volessero inizialmente seguire la stessa strada a cui avevo pensato io e far sostituire a Billie l’occhio e il braccio mancanti con gli artefatti dell’Oblio, ma che abbiano poi incontrato problemi durante lo sviluppo o abbian deciso di non rompere la regola sinora seguita sui finali da considerare canonici. Perché Billie ha quindi un occhio e un braccio artificiali in “Dishonored: La morte dell’Esterno”, se non li ha mai persi? Qui escon fuori gli intoppi. Anche leggendo recente materiale promozionale del gioco trovo scritte cose come “colui che uccide l’Esterno non viene marchiato, questa è l’idea che abbiamo avuto – dice il direttore creativo Harvey Smith – Billie ottiene i suoi poteri da alcuni manufatti legati all’Oblio”, che mi fa pensare che nell’idea originale i poteri di Billie non derivassero dall’Esterno e per questo lei sfruttasse artefatti e non avesse il suo Marchio, e “nel capitolo La morte dell’Esterno i poteri di Billie vengono sbloccati man mano che vengono recuperati vari manufatti legati all’Oblio”, che mi fa pensare che inizialmente l’idea fosse farmi acquistare i poteri lentamente, mentre trovo nuovi artefatti da installare nel mio corpo.

Entrambe le cose sono, però, piuttosto inesatte: in “Dishonored: La morte dell’Esterno” è sempre l’Esterno a darmi i poteri, ma inspiegabilmente invece di marchiarmi sostituisce con artefatti dell’Oblio l’occhio e il braccio che avrei perso in un presente alternativo a quello considerato canonico, e non c’è una vera progressione dei poteri che acquisto missione dopo missione, artefatto dopo artefatto, anche se forse ne resta testimonianza nel fatto che esista una quasi inutilizzata schermata di inventario che mostra cosa possiedo e che effettivamente un potere venga acquisito in un momento successivo da un ulteriore oggetto. È sospetto anche che l’Esterno mi dia gli artefatti in una scena tirata via, senza grande enfasi, senza grande peso (Billie si trova un occhio e un braccio trasformati in oggetti magici e accetta il cambiamento con facilità e senza neanche guardarsi allo specchio per capire cosa le sia successo), in una scena ambientata semplicemente sulla Dreadful Wale, la nave di Billie/Meagan e non, come accade di solito, nell’Oblio durante un sogno. Mi fa pensare che un cambiamento sia avvenuto in un momento tardo quando non era più possibile aggiungere un’ambientazione al gioco. Sono solo supposizioni, ma sono supposizioni che cercano di spiegare perché “Dishonored: La morte dell’Esterno” abbia in alcuni momenti dei reali problemi a livello narrativo.

Dishonored La morte dell'Esterno Recensione Dislocazione

L’Esterno come capro espiatorio

Per quanto queste sbavature di scrittura si facciano sentire, soprattutto nelle prime ore di gioco, “Dishonored: La morte dell’Esterno” ha qualcosa di interessante da raccontare. Per la prima volta nella storia della serie non mi trovo semplicemente al centro di una convenzionale storia di vendetta, cospirazioni e onore da ricostruire, ma nel capovolgimento di un topos narrativo caro al videogioco, un topos narrativo che “Dishonored: La morte dell’Esterno” stravolge guardandolo da un punto di vista diverso. Tante volte ho ucciso divinità nei videogiochi e tante volte questo deicidio si è ridotto a uno scontro finale con fuochi artificiali e alla banale vittoria del piccolo contro il grande, catarsi del videogiocatore che può così sfogare la frustrazione di una vita reale in cui tale vittoria è impossibile.

Nel primo “Dishonored” l’Esterno poteva sembrare il tipico trickster, una divinità burlona e disinteressata alla sorte del mondo ma curiosa di scoprire che caos può provocare donando alle giuste persone poteri sovrannaturali. Pensate al Satana cristiano, al Loki norreno, al Ryuk di “Death Note”. L’Esterno rappresenta però qualcosa di più interessante, perché l’Oblio (il mondo in cui lui vive) rappresenta qualcosa di più interessante di una semplice dimensione del caos, o persino del male: l’Oblio e l’Esterno solo l’inconscio, sono il sogno, sono il mistero, sono i desideri che non sappiamo capire ed esprimere ma che possediamo. Parlando di archetipi, l’Esterno non è quindi il trickster ma l’Ombra (“Shadow”), il nostro lato oscuro e segreto che noi cerchiamo di nascondere anche a noi stessi e in cui non vogliamo rivederci.

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Secondo quanto già sappiamo da “Dishonored 2” l’Esterno è stato un tempo umano, un ragazzino emarginato (un “esterno” alla società), sacrificato in un rituale 4000 anni prima degli eventi di “Dishonored” per renderlo l’avatar, la manifestazione fisica, dell’Oblio. È stato ucciso per dare un volto a una dimensione sennò misteriosa, senza senso e senza controllo, ucciso per avere qualcuno da pregare, da cui ricevere miracoli e da incolpare per le nostre voglie come fa l’Abbazia dell’Uomo Qualunque, l’ordine religioso dell’Impero. L’Esterno è il “pharmakos” (veleno/medicina) greco, un essere umano caricato delle colpe dell’intera società, dell’intero peso del suo subconscio, e scacciato per purificare la società stessa proiettando all’esterno, sull’Esterno, ciò che invece appartiene a essa.

Quindi l’Esterno non è tanto una divinità malvagia o burlona, ma una vittima scelta dalla società che si è creata un dio da amare e da condannare,  una divinità ctonia (sotterranea) che rappresenta ciò che è nascosto in noi e, allo stesso tempo, come spesso accade con le divinità sotterranee, una divinità collegata alla morte e alla sua oscurità. È una specie di Cristo lovecraftiano capace di donare sollievo e magia ai più deboli, a chi è emarginato come lui: streghe, delinquenti, poveri mendicanti. Non è un nemico da sconfiggere, e forse per questo in “Dishonored: La morte dell’Esterno” dà a Billie gli artefatti dell’Oblio, i suoi poteri, anche se è consapevole che la donna potrebbe infine utilizzarli proprio per ucciderlo: la morte sarebbe per l’Esterno comunque una liberazione da una vita eterna che lui non ha scelto, da responsabilità che gli sono state imposte quando era solo un ragazzo. Questa lettura dell’Esterno fa da scheletro all’intera vicenda e rappresenta il suo vero punto di forza.

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Meno poteri, più interazione

Billie Lurk ha accesso a cinque poteri. Il primo non è legato all’Oblio, ma a un misterioso e mai spiegato artefatto simile al Cuore che fu regalato a Billie dalla sua compagna prima che ella morisse. L’artefatto permette a Billie di ascoltare i Sussurri dei Ratti, cioè di capire il linguaggio dei topi che trovo a giro nel mondo di “Dishonored: La morte dell’Esterno”, scoprendo inquietanti e alieni momenti della vita delle loro colonie e soprattutto scoprendo segreti che mi possono essere utili, come missioni secondarie e passaggi sotterranei sconosciuti agli uomini. Ho poi tre poteri legati all’Oblio e agli artefatti che mi ha dato l’Esterno: Dislocazione mi permette di impostare un punto di teletrasporto e poi di teletrasportarmi in quella posizione in un momento successivo a patto che non sia troppo lontana e che non ci sia niente a interrompere il collegamento tra me e il punto impostato, Somiglianza mi permette di rubare per una volta il volto, la voce e l’aspetto di un personaggio non giocante (ancora vivo) e Preveggenza mi permette di spostarmi volando in forma eterea, mentre il tempo del resto del mondo rimane fermo, esplorando gli spazi e mettendo in evidenza nemici (di cui in questo modo potrò poi vedere anche il cono visivo), oggetti e potenziamenti (Amuleti d’Osso di Balena). A questi poteri si aggiunge poi il Colpo dell’Oblio, un attacco con la spada caricato e capace di colpire a distanza. Si tratta di un set molto meno ricco rispetto a quello a cui ci hanno abituato gli altri episodi di “Dishonored”, ma i suoi poteri sono più interattivi, hanno bisogno dell’intervento del giocatore, danno opportunità e chiedono di fare scelte.

Quando uso Dislocazione non devo solo premere un tasto e teletrasportarmi o spostarmi dove guardavo, come per i poteri di spostamento di Emily e Corvo, e il punto di teletrasporto può essere piazzato anche mentre uso Preveggenza. Quando uso Somiglianza non passo semplicemente inosservata ma divento letteralmente l’altro personaggio, assumo la sua voce e il suo aspetto e i personaggi non giocanti si comporteranno con me come si comporterebbero con la persona di cui ho rubato il volto. Quando uso Preveggenza non vedo semplicemente tutti i nemici intorno a me e il loro cono di visione come usando Visione Oscura di Corvo ed Emily, ma devo essere io a esplorare l’ambiente e scoprire ed evidenziare i miei nemici. Tutti i poteri, tranne il Colpo dell’Oblio (che non è comunque letale) e un uso aggressivo della Dislocazione (posso teletrasportarmi dentro una persona facendola esplodere, anche se l’azione mi danneggia), sono poi incentrati sul nascondersi e non sull’aggredire e incoraggiano quindi il gameplay che “Dishonored” ha sempre incoraggiato: quello stealth. Resta la contraddizione alla base di questa serie, come degli ultimi “Deus Ex”, la contraddizione di avere fantastici poteri letali e gadget mortali, fortemente pubblicizzati durante la promozione del gioco, ma di trovarmi in un gameplay che invece mi incoraggia a non uccidere nessuno e a non venire scoperto. In “Dishonored” posso scegliere un approccio diretto o un approccio stealth, ma mi trovo pur sempre in un gioco stealth. La direzione presa con i poteri di “Dishonored: La morte dell’Esterno” è in questo senso apprezzabile, e la contraddizione mi sembra spesso accennare a una contraddizione reale del mondo di “Dishonored”, alla tentazione insita nei poteri dell’Esterno e dell’Oblio.

Dishonored La morte dell'Esterno Recensione Colpo dell'Oblio

Meccaniche semplificate

La scelta di concentrarsi su meno poteri più interattivi non è l’unica semplificazione apprezzabile in “Dishonored: Le morte dell’Esterno”. In questo episodio i poteri non sono  più potenziabili con un loro albero delle abilità e dei punti da trovare esplorando il mondo di gioco, e tutti potenziamenti sono affidati agli Amuleti d’Osso di Balena, potenti artefatti da scovare e, da un certo punto in poi, da sfare e comporre a piacimento, recuperando materiali durante le missioni e distruggendo Amuleti per impararne il poteri. Magari il sistema soffre un po’ perché gli è ora affidato tutto il peso che prima era diviso tra Amuleti e il classico albero delle abilità, ma penso che Arkane possa sviluppare “Dishonored” in una direzione interessante continuando così.

Un’altra apprezzabile semplificazione che spero resti anche nel futuro della serie riguarda l’Energia dell’Oblio, il “mana” che consumo usando i poteri dell’Oblio. In “Dishonored 2” l’Energia dell’Oblio deve essere recuperata con apposite pozioni e si rigenera solo in una quantità limitata (quella che mi basta per usare in modo praticamente gratuito poteri base come quelli di spostamento) mentre in “Dishonored: La morte dell’Esterno” bastano pochi secondi perché io torni ad avere tutta l’Energia dell’Oblio. In questo modo l‘Energia dell’Oblio continua a limitare l’uso sconsiderato e prolungato dei poteri, per esempio consumandosi mentre uso Preveggenza o mentre mi muovo durante Somiglianza, ma non ne scoraggia più l’uso e soprattutto non scoraggia mai la sperimentazione. In “Dishonored: La morte dell’Esterno” ho pochi poteri, non ho potenziamenti da imparare, ma questi poteri sono più creativi e interattivi nei loro usi e il gioco mi spinge a sfruttarli in continuazione senza timore di sprecare risorse. “Dishonored: La morte dell’Esterno” ha inoltre una modalità Nuova Partita + che mi offre una piccola selezione dei poteri di Corvo ed Emily da “Dishonored 2”, nel caso volessi nuovi giocattoli.

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Il problema dell’essere standalone

Peccato che “Dishonored: La morte dell’Esterno” non abbia mai occasioni indimenticabili per sperimentare con le meccaniche del gioco. I livelli sono grandi, ci sono molti modi diversi di raggiungere gli obiettivi, strade diverse da percorrere e scelte da fare, ma non ci sono mai momenti di eccellenza come Villa Meccania e la Villa di Stilton di “Dishonored 2”. In parte credo che questo problema sia conseguenza del suo essere un videogioco standalone e non un DLC, una conseguenza del suo dover essere teoricamente adatto anche a chi non ha mai giocato un “Dishonored”. Così, invece che costruire sui mondi complessi del precedente episodio, “Dishonored: La morte dell’Esterno” deve partire da capo, spiegare tutto dall’inizio e, in cinque missioni, sembra che non riesca mai a esplodere nel suo level design. La prima missione è semplicemente introduttiva, senza ancora poteri (posso solo ascoltare i Sussurri dei Ratti), la seconda e la terza missione (che è probabilmente quella con il miglior level design) sono ambientate nello stesso quartiere e hanno quindi gli stessi ambienti esterni da attraversare, la quarta missione ricicla un livello di “Dishonored 2” (per quanto lo ricicli bene sconvolgendone l’architettura e dimostrandosi a volte un bell’esercizio di stile) e la quinta missione non riesce a tirar fuori niente di interessante sui suoi spunti ed è estremamente lineare. Nessuno dei livelli di “Dishonored: La morte dell’Esterno” è brutto o noioso da giocare, nessuno rinuncia a finezze visive e a momenti interessanti nascosti nei dialoghi delle mie ignare vittime o nelle note abbandonate dall’inquilino dell’appartamento in cui sono penetrato, ma nell’episodio di chiusura di questo arco narrativo della serie “Dishonored” manca qualcosa di davvero incisivo.

La scomparsa della scelta

Manca anche il peso delle scelte a cui “Dishonored 2” mi ha abituato, e questa semplificazione è meno apprezzabile. Non c’è più il sistema del Caos, il mondo non risponde più alla mia violenza aumentando la sua violenza, e non ci sono più scelte diverse e importanti alla fine delle missioni e le scelte che faccio in eventi secondari non hanno alcun effetto sul finale del gioco e non hanno grandi conseguenze neanche durante il suo svolgimento. L’unica eccezione è la missione finale, quella in cui raggiungo l’Esterno per ucciderlo, missione in cui naturalmente posso intraprendere anche un strada non violenta trovando un modo alternativo per interrompere l’azione dell’Esterno e della sua magia sul mondo, ma il livello è tanto lineare che mi trovo davanti la soluzione senza che sia necessario grande impegno da parte mia. Billie Lurk è il personaggio adatto a essere la protagonista di un “Dishonored”: non è una nobile, non è la guardia del corpo e l’amante di una Imperatrice, ma, come Daud, è un’assassina abituata a uccidere anche solo per denaro, un personaggio che si trova molto più a suo agio in un videogioco che vuole darmi la scelta di uccidere o di salvare le persone, ma “Dishonored: La morte dell’Esterno” non valorizza molto questa differenza.

Dishonored La morte dell’Esterno – In conclusione…

Dishonored La morte dell'Esterno Recensione Daud

Da un certo punto di vista potrei considerare “Dishonored: La morte dell’Esterno” come adatto sia a chi non ha mai giocato a un “Dishonored”, e che troverà qui una versione semplificata delle meccaniche della serie e una serie di ambientazioni pensate per introdurre agli altri episodi, sia a chi ha giocato “Dishonored”, tutti i suoi DLC e “Dishonored 2” e che qui troverà una chiusura compiuta (ma ancora piena di misteri) di tutta l’avventura di Corvo, Emily, Daud e Billie. Dall’altro punto di vista potrei considerare “Dishonored: La morte dell’Esterno” inadatto a chiunque, sia a chi non ha mai giocato a “Dishonored” e che quindi non riuscirà in nessun modo a godersi la trama di quello che ne è il suo ultimo capitolo, un capitolo pieno di riferimenti al passato, sia a chi ha giocato a “Dishonored 2” e si ritroverà a ripartire da capo e a convivere con meccaniche magari più eleganti ma anche più semplifiate. Resta difficile non consigliare “Dishonored: La morte dell’Esterno” a chi ha amato la serie o anche solo il suo secondo episodio, perché con la sua decina di ore di gioco non stancherà i veterani e ha cose importanti da raccontare sull’Esterno e sul rapporto tra società e divinità, ma “Dishonored” è una serie interessante più per le sue meccaniche e la loro interazione con il mondo di gioco che per la sua narrazione ed è un peccato che nel finale di questo arco narrativo siano proprio i suoi punti forti a non brillare come in passato. “Dishonored: La morte dell’Esterno” è disponibile per PlayStation 4, Xbox One e PC ed è giocabile anche da chi non possiede “Dishonored 2”.

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