Italian Video Game Awards: come nasce la giuria di un premio videoludico

Stasera si terrà la premiazione degli Italian Video Game Awards, premio italiano dedicato ai migliori videogiochi italiani ed esteri dell’anno da poco concluso (cioè del 2017). La giuria, presieduta da Federico Cella de Il Corriere della Sera, è composta da Luca Tremolada (Il Sole 24 ore), Jaime D’Alessandro (La Repubblica), Dario Marchetti (RaiNews), Pier Paolo Greco (Multiplayer.it), Francesco Fossetti (Everyeye), Stefano Silvestri (Eurogamer.it), Mario Petillo (SpazioGames), Lorenzo Fantoni (giurato tecnico), Emilio Cozzi (giurato tecnico), Matteo Bordone (influencer) e Dario Maggiorini (Professore dell’Università degli Studi di Milano).

Il Drago d’Oro

Italian Video Game Awards nasce tra 2012 e 2013 con il nome di Premio Drago d’Oro su iniziativa di AESVI, l’associazione di editori e sviluppatori italiani di videogiochi. L’idea era avere anche in Italia un premio che riconoscesse e premiasse le eccellenze dell’industria videoludica con apposite categorie dedicate alle sole opere italiane.

Federico Cella, giornalista de Il Corriere della Sera e giurato del Premio Drago d’Oro sin dalla sua prima edizione, è ora divenuto presidente della giuria in un anno delicatissimo per questa iniziativa.

La scelta della giuria

Il passaggio dal Premio Drago d’Oro agli Italian Video Game Awards, infatti, non ha comportato solo un cambio di nome. Ora esiste un preciso regolamento per la selezione dei giurati e per il funzionamento della premiazione e si è rotta, almeno formalmente, la precedente opposizione tra due componenti della giuria: la componente che viene dalla stampa generalista (Corriere della Sera, La Repubblica…) e la componente che viene dalla stampa specializzata (Everyeye, Multiplayer.it…).

La composizione della giuria, che viene proposta dal suo presidente, non deve in teoria più bilanciare membri di testate specializzate e membri di testate generaliste, anche se queste due fonti restano prevalenti nella scelta dei giurati.

“I giurati sono nominati dal Presidente della Giuria tra soggetti appartenenti alle seguenti categorie: giornalisti della stampa generalista, giornalisti della stampa specializzata in videogiochi, docenti universitari e influencer nel settore dei videogiochi.

Nella composizione della Giuria, il Presidente della Giuria deve avere cura di assicurare una presenza prevalente alle prime due categorie di soggetti e di scegliere i giurati tra professionisti di comprovata esperienza, autorevolezza e conoscenza del settore. È data facoltà al Presidente della Giuria di nominare come giurati personaggi del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo. La nomina dei giurati è soggetta ad approvazione da parte di AESVI.”

Eppure, nel primo anno dell’Italian Video Game Awards la giuria è rimasta sostanzialmente identica a quella dell’anno precedente, con ancora i soliti membri provenienti dai soliti siti e dai soliti quotidiani, e il presidente ha deciso di mantenere un equilibrio tra componente generalista e specializzataHo avuto occasione di parlare telefonicamente con Federico Cella per capire meglio come sia stata scelta la nuova giuria. Le sue affermazioni sono state editate e tagliate e tutti i grassetti dell’articolo sono miei.

“Siccome il numero dei giurati si è ridotto da 13 a 12 e io faccio parte della stampa generalista ho chiamato altri 3 giornalisti della stampa generalista e 4 della stampa specializzata” mi spiega Cella. “Non è una divisione formalizzata ma è stata una mia scelta. È stata una scelta ponte dal precedente Drago d’Oro in cui, non formalizzata, c’era una divisione molto rigida tra sei giornalisti della stampa generalista e sei giornalisti della stampa specializzata, a cui si aggiungeva il presidente. Io non ho voluto stravolgere questa struttura che ha funzionato anche piuttosto bene.

A questa base sono poi stati aggiunti un docente universitario,  Dario Maggiorini, un influencer, Matteo Bordone (che è anche giornalista ma è stato chiamato come influencer) e due giurati tecnici: Emilio Cozzi [per la scelta dei videogiochi italiani] e Lorenzo Fantoni [per gli eSport].

Mi son trovato ad avere solo tre posti per la stampa generalista. Da una parte per regolamento, ma con piacere, ho dovuto chiamare l’ex-presidente Luca Tremolada [Il Sole 24 Ore], dall’altra mi è sembrato giusto richiamare anche Jaime d’Alessandro de La Repubblica, perché noi tre siamo stati i promotori sin dal primo giorno del Premio Drago d’Oro [Jaime d’Alessandro fu presidente di giuria nelle prime tre edizioni del Drago d’Oro].

A questi noi tre ho voluto aggiungere Dario Marchetti della Rai, perché con l’assunzione in Rai di Dario Marchetti, un collega molto bravo sui videogiochi, abbiamo avuto la possibilità di avere la Rai nella giuria e a quel punto, semplicemente, non c’erano più posti.

Per quanto riguarda la stampa specializzata non ho anche qui voluto fare stravolgimenti e ho chiamato i rappresentanti dei primi quattro siti, per reach [il numero di persone raggiunte], che mi sono stati segnalati. Ossia Multiplayer, Everyeye, Eurogamer e SpazioGames.

Detto questo, con l’anno prossimo penso di fare un cambiamento forte. Secondo il regolamento deve essere cambiato il 50% della giuria ma io penso di andare oltre il 50%, proprio perché non vorrei che qualcuno si sentisse escluso e non vorrei che nessuno sentisse di avere un posto garantito.” Secondo il regolamento:

“La durata del mandato dei giurati è di un anno ed è rinnovabile. Il mandato può essere rinnovato consecutivamente per un massimo di due anni. In questo caso, il giurato non potrà essere rinominato per una terza volta consecutiva, ma potrà rientrare nella Giuria in un anno successivo.

Nella nomina della Giuria, il Presidente della Giuria deve in ogni caso avere cura di garantire il rinnovo di almeno la metà dei giurati da un anno all’altro, al fine di favorire un’equilibrata rotazione dei membri della stessa Giuria e di assicurare il più ampio contributo ai valori culturali e artistici del premio.

Alessandra Contin

Per ora, la riduzione della giuria hanno portato all’esclusione dalla giuria di Alessandra Contin de La Stampa, membro della giuria del Premio Drago d’Oro sin dalla prima edizione e sinora unico suo membro femminile. Italian Video Game Awards inizia il suo percorso con una giuria completamente maschile.

Alessandra Contin, giornalista decisamente attenta al ruolo e alla rappresentazione della donna nel mondo del videogioco, vuole però chiarire quanto questa situazione vada vista come un piccolo passo falso causato da una grande riorganizzazione destinata a far crescere gli Italian Video Game Awards. Ho potuto parlare telefonicamente anche con lei (e anche in questo caso l’intervista è state editata e tagliata).

“La giuria è stata abbastanza statica negli anni. Fino a questo anno, che è un anno di transizione, la volontà era di avere una giuria che contenesse sia le testate generaliste che si occupavano di videogiochi sia le maggiori testate della stampa specializzata online. In questo anno di transizione Federico Cella è stato scelto come presidente di giuria (e resterà in carica solo due anni), ha composto la giuria ed è stato un lavoro difficile per lui: i giurati si sono ridotti, ha dovuto trovare spazio anche per l’accademia e per forme più mainstream (e alla fine è stato scelto Matteo Bordone che è più che valido, perché è un buon comunicatore).

C’è stato il problema della componente femminile, che in italia è un problema perché possiam girarci intorno quanto vogliamo ma sono pochissime le donne che si occupano di videogiochi in Italia. Siamo veramente poche, e [la causa dell’assenza di donne nella giuria] più che una questione di genere è stata una questione di numero. Come al solito si tende a sottovalutare [l’importanza] che ci sia una presenza [femminile]. Ma [la loro] non è una presa di posizione: non hanno pensato che potesse essere un problema ma non lo hanno fatto in cattiva fede.

A me sarebbe piaciuto tantissimo avere una componente femminile, per una sorta di continuità e per il messaggio. Messaggio che serve, soprattutto in questo periodo. Questo anno è stato un anno in cui le tematiche di genere sono venute fuori anche in maniera prepotente, e non solo nel nostro campo che storicamente ha poche donne. E secondo me [l’errore] è stato più dovuto alla fretta di mettere insieme una giuria. Penso che questa cosa verrà assolutamente corretta nelle prossime edizioni, dove io spero di avere una componente femminile, una componente femminile più grossa.

E spero che sia una componente femminile giovane. Nel senso che spero che siano ragazze che portino anche una nuova visione, e a me vanno benissimo anche le YouTuber. Io sono molto aperta su questa questione: penso che avere più visioni sia sempre e solo un arricchimento. Quello che è successo è lo specchio della situazione del giornalismo italiano: non posso dire che sia maschilista (io son sempre stata in giuria), ma in questo momento di transizione penso che ci sia stata questa svista, questo non cercare più in profondità. Perché non ti vengono subito in mente donne che si occupano di videogiochi in Italia, ma per una questione di numero.”

Una giuria solo maschile

Anche Cella cita l’assenza di professioniste e videogiocatrici come causa del problema. “Non ritengo uno strumento interessante e valido le quote rosa” mi dice Cella. “Possono essere state utili in alcuni ambiti per promuovere il concetto che le donne abbiano la titolarità per partecipare a qualsiasi attività. Ma siamo arrivati a un punto storico e culturale in Italia in cui le quote rosa hanno fatto ormai il loro mestiere.

Nel mondo dei videogiochi ce ne sono molto poche [di donne]. Viene detto che il mercato italiano sia composto al 50% da uomini e donne, ma se togliamo il casual game più spinto come Candy Crush e simili io penso che per la maggior parte i gamer siano uomini.

Noi andiamo a concentrarci sul videogioco come opera intellettuale, come opera d’ingegno, certo senza per forza escludere il mobile perché anche lì ci sono opere di altissima qualità, mentre il casual gamer si dedica a videogiochi che sono più meccanici, che richiedono un minor impegno mentale. La maggior parte del pubblico femminile secondo me si trova ora di fatto in questa categoria, senza niente togliere all’importanza della parità: più ce n’è meglio è e rispetto agli anni passati stiamo andando avanti.

E, andando alla questione della composizione della giuria, di professionisti (a torto o a ragione) che in Italia si occupino di videogiochi tutti i giorni ce ne sono veramente pochi donna.”

“È sicuramente un peccato che si tratti dell’ennesima giuria tutta al maschile, ma francamente non mi stupisco” mi scrive la sviluppatrice indipendente Sofia Abatangelo. “Direi anzi che è il sintomo di un problema più ampio: anche se la presenza femminile nel settore videoludico (sia per quanto riguarda le giocatrici che per quanto riguarda le giornaliste e le sviluppatrici) è prepotentemente aumentata negli ultimi anni, si tende a non considerare le donne nel settore come altrettanto autorevoli rispetto ai loro colleghi maschi.

Ed è un peccato, perché ormai ci sono parecchie donne che scrivono di videogiochi, anche nelle principali testate d’informazione videoludica, e non certo con minore competenza dei colleghi maschi. Sia chiaro, non è un giudizio riferito ai singoli giurati (con uno di loro ho, tra l’atro, un rapporto professionale molto positivo) [Abatangelo scrive per Everyeye, di cui è redattore capo uno dei giurati, Francesco Fossetti], piuttosto una constatazione di quanto ancora il videogioco sia ancora un mondo soprattutto maschile. Sono invece piacevolmente stupita del fatto che ci sia qualcuno (come te, Matteo, altri) che non riconosce più in questa situazione la normalità, ma ne evidenzi l’aspetto problematico.”

L’importanza della diversità nella giuria

L’assenza di donne all’interno della giuria non va però considerata problematica solo per la mancanza di rappresentanza di un’importante componente demografica del mondo del videogioco, ma come un sintomo di una più generale uniformità, di una generale mancanza di diversità.

“È bene ricordarsi che il mondo sta andando in un’altra direzione. Certamente con grande fatica e non senza passi falsi, ma lo stato delle cose oggi viene costantemente messo in discussione” mi scrive Marina Rossi, game designer e organizzatrice del festival di game design Game Happens.

“Sono passati cinque anni da quando l’hashtag #1reasonwhy ha messo a nudo le pratiche quotidiane di discriminazione, esplicite e implicite, che tengono le donne lontane dall’industria dei videogiochi. Al di fuori dei nostri confini nazionali, si discute dell’importanza della molteplicità di punti di vista e della diversità come elemento chiave in qualsiasi industria creativa.

Per questo motivo, la presenza di donne (e di minoranze) nel settore non può essere solo un argomento di discussione da limitare a una tavola rotonda a tema, ma deve avere delle conseguenze concrete sulla struttura stessa delle entità organizzative e sugli sforzi che queste devono fare per garantire questa diversità. È una precisa responsabilità che tutti noi dobbiamo assumerci giorno dopo giorno perché quando si sceglie chi includere, si sta implicitamente scegliendo anche chi escludere.”

“Il fatto che la giuria dei prossimi Italian Video Game Awards non sia diversificata da un punto di vista di genere (ma non solo) è problematico perché il rischio è sempre quello di avere una sorta di omogenizzazione della riflessione che si fa in questo settore in Italia” mi risponde Giulia Trincardi di Motherboard Italia.

“Il problema è la mancanza di interesse a inserire altre voci all’interno di una manifestazione che vorrebbe avere un respiro più ampio possibile. Avere giurie complesse, con voci che appartengano a minoranze di genere, di razza o orientamento sessuale, significa poter costruire una selezione e una critica finale dei giochi in gara più forte perché più sfaccettata. Davvero non è una questione di politicamente corretto, ma di ampliare il coro per il bene dei giochi stessi. Mi piacerebbe di certo vedere almeno una presa di coscienza. Mi stupisce che questi dubbi arrivino a cose fatte e non ci sia mai nessuno che li sollevi in sede di decisione.”

Claudia Molinari-Ivanović, metà del duo artistico We Are Müesli,  pensa che le questioni della diversità e della presenza di una componente femminile sarebbero dovute essere più importanti proprio nel momento del passaggio da Premio Drago d’Oro al più internazionale Italian Video Game Awards. “Immagino che comporre una giuria sia un compito molto complesso che (purtroppo? per fortuna? non lo so!) non si limita soltanto alla scelta di figure professionali competenti e complete in grado di capire il passato, il presente e il futuro di quanto si andrà ad analizzare ma di mantenere degli equilibri e degli equilibrismi sul processo evolutivo della materia oggetto di giudizio.

Facciamo un passo indietro: partendo da un concetto di giuria più allargato, è importante se non fondamentale costituire un pool di persone che possano rappresentare le numerose sfaccettature di quanto si andrà a giudicare. Gli esperti devono essere eterogenei, e includere uomini, donne, giocatori, giocatrici, ma anche, ad esempio, sviluppatori e sviluppatrici, curatori e curatrici, e così via. In una parola: diversità, a tutti i livelli.

Per quanto riguarda la questione di genere, che chiaramente ha il suo peso nel nostro paese, trovo discordante, in un passaggio e posizionamento così fondamentale per gli Italian Game Awards, ex Drago D’oro, di scegliere di non ammettere figure femminili in giuria. La scelta è, a mio avviso, una strategia miope, figlia probabilmente di quel lavoro di equilibrismo nel tenere i birilli più significativi (quelli prioritari) in aria, estromettendone altri. Non perché la questione non sia importante (AESVI ci ha sempre tenuto molto a rappresentare le donne) ma perché, evidentemente, non abbastanza rilevante da rappresentare ora, in questo momento, questa pluralità di voci.

Trovo tutto ciò un ossimoro, soprattutto alla luce di protocolli internazionali evoluti e consolidati, che lascia il bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: avvicinare un pubblico internazionale grazie alla scelta di un nome accessibile e facilmente riconoscibile da fuori ma allo stesso tempo mostrare un dentro di soli esperti maschi. Questo potrebbe essere chiaramente un caso, frutto di una coincidenza, ma una coincidenza che non doveva accadere alla luce di questo shift, che non fa giustizia al duro lavoro né di AESVI, né di molt* professionist*, e che aiuta solo a rinforzare in Italia il gap tra il game development e la figura della donna, ora anche in veste internazionale.”

Cella non vede questa omogeneità nella giuria. “I voti, tranne alcuni casi inevitabili perché quest’anno sono usciti 2-4 giochi che si pongono una spanna sopra gli altri, hanno mostrato una dispersione del voto interessante. Una dispersione interessante perché crea valore. Ogni singolo giornalista ha il proprio approccio.”

Il conflitto di interessi

Il regolamento manca anche di regole che evitino la presenza di conflitti di interessi, delegando il compito di garantire l’obbiettività dei giurati al presidente della giuria. È il presidente che garantisce la correttezza del concorso, è lui che garantisce che, come dice il regolamento, ogni giurato eserciti “il diritto di voto in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”.

“Mettere nel regolamento che chi viene nominato non deve aver avuto o non deve avere in essere rapporti commerciali con i publisher è impensabile, perché chi non lavora per Repubblica o per il Corriere deve, in un modo o nell’altro, forzatamente, avere rapporti commerciali in essere, o deve averli avuti in passato.

Abbiamo allora deciso di specificare che il voto debba essere dato in assoluta libertà di coscienza, e se questo non dovesse avvenire è facoltà del presidente della giuria intervenire sul giurato.

Il conflitto di interessi va evitato non invitando nella giuria persone che lavorano all’interno dell’industria, con i publisher o con studi di sviluppo, ma quando inviti persone che lavorano sui videogiochi non importa se una volta o più volte hanno avuto rapporti commerciali. E così vale per gli influencer: ci lavorano a pagamento [con i publisher e gli studi di sviluppo], ma quando votano votano in assoluta libertà, da appassionati.”

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