Call of Duty Black Ops 3 – Recensione della Campagna

“Fuoco su quel VTOL!”. Io stringo la mitragliatrice, mentre un enorme areo a decollo verticale appare minaccioso davanti al nostro veicolo corazzato. La missione non è andata proprio come era previsto: abbiamo recuperato gli ostaggi ma la fuga è disordinata e precipitosa. Sparo una breve raffica. Un unico clic del mouse e subito l’aereo nemico precipita e si schianta. Mi sembra un po’ esagerato, qualcosa non torna. Altre truppe tentano di bloccarci, svoltiamo per evitarle e un furgone spunta per tagliarci la strada. “APC a destra! Fuoco!” urlano nell’auricolare. Questa volta neanche sparo, ma il mezzo scoppia ugualmente. “Bella mira cazzo!”.  Esplosioni ovunque, morti, colpi di scena, e vogliono farmi credere che siano le mie azioni a provocarli. Ma io sono solo uno spettatore, un cameraman senza nome. Il nostro APC alla fine si ribalta, i soccorsi recuperano i miei compagni e l’uomo che stavamo scortando, il Primo Ministro egiziano, ma io resto indietro stordito da una granata. I robot nemici mi circondano, mi sbranano, e quando vengo infine salvato di me resta ormai solo un tronco senza arti. Dopo una rischiosa operazione inizia così la mia nuova vita come  soldato cibernetico. Inizia “Call of Duty: Black Ops 3”.

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Call of Duty Black Ops 3 – Recensione della Campagna: Trama e personaggi

Vengo addestrato per padroneggiare tutti i miei nuovi fantastici poteri in una missione che sembra presagire una avventura piena di possibilità e di mobilità, di corse lungo i muri e hacking a distanza di robot. Dopo un inizio perfettamente in stile “Call of Duty”, comincio a pensare che la campagna voglia andare in direzioni diverse ma… tutto resta purtroppo in potenza e le missioni mi vedranno principalmente sparare e sparare e sparare a orde di nemici. Supero l’addestramento, cinque anni passano tra una missione e l’altra, finché una fuga di notizie mi fa arrivare a Singapore e mi mette sulle tracce proprio dell’uomo che mi ha addestrato, Taylor. La campagna, ambientata come avrete capito in un futuro non così prossimo, racconta questo inseguimento tra la squadra composta da Hendricks, la soldatessa Kane e me e la squadra di di Taylor che, dopo aver scoperto un orribile segreto governativo, ha disertato.

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Lo spunto ricorda “Halo 5: Guardians”, in cui la squadra dello Spartan Locke insegue quella di Master Chief, eroe divenuto disertore. È una coincidenza sfortunata, perché rende più evidenti tutti i difetti della trama e della campagna di “Call of Duty: Black Ops 3”, che non riesce a sfruttare al meglio le sue potenzialità. Il punto più debole è il protagonista che, come è un po’ tipico dei protagonisti di “Call of Duty”, non ha alcun peso e nessuno sviluppo. Vediamo Taylor ribellarsi, vediamo le scelte difficili di Kane, il dubbio di Hendricks, ma io sento di non contare nulla.  Proprio Hendricks è, per la maggior parte della storia, il vero protagonista, quello che sceglie, quello che sa, quello che combatte. Il mio personaggio è solo un ottuso soldatino con una morale manichea e, come ho detto all’inizio, osserva e basta, eseguendo gli ordini che gli vengono dati. Accendi questo, connettiti a quello, fai, spara, uccidi, salta. La prima missione è tanto zeppa di sequenze scriptate che (ho provato) può essere finita premendo solo due volte il mouse e senza neanche dover usare attacchi fisici.

Sia chiaro: l‘uso di scene scriptate è certo molto invadente in “Call of Duty” ma sa a volte creare momenti tremendamente efficaci. Come nella penultima missione, in cui mi aggiro in mezzo a un enorme scontro tra soldati, robot, aerei, mentre la mia mente viene hackerata. E forse per la prima volta vediamo in un “Call of Duty” qualcosa di più di una storia in cui l’America affronta l’ennesimo Stato canaglia o gli ennesimi terroristi: “Call of Duty: Black Ops 3” è una storia che racconta di come l’America crei i suoi nemici. E, anche se non è capace di affrontare adeguatamente tutte le ambiguità e le sfumature della vicenda, è una storia sulla difficile scelta tra dolorose verità e utili bugie. I suoi temi cyberpunk, che mi ricordano (a volte un po’ troppo) quelli affrontati dalla serie e dal film di “Ghost in the Shell”, permettono poi di creare momenti visionari ambientati nelle menti collegate dei cyborg e di esplorare il delicato confine tra macchina ed essere umano.

Call of Duty Black Ops 3 – Recensione della campagna: Abilità Tattiche Cybercore e co-op

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I potenziamenti cibernetici del protagonista entrano anche nel gameplay, come abilità (“Abilità Tattiche Cybercore“). Quando seleziono l’equipaggiamento posso scegliere se impiantarmi uno tra tre diversi set (Nuclei) di abilità che, tra una missione e l’altra, possono essere anche ampliati e potenziati. Ogni set si concentra su un diverso concetto (Controllo, Marziale, Caos) e si divide in due branche che vanno sviluppate separatamente, secondo un semplicissimo skill tree. Il mio set preferito, Caos, dà poteri come la capacità di incendiare o assordare i soldati nemici, di far esplodere i robot a distanza e di uccidere all’istante interi gruppi di esseri umani, con un semplice gesto della mano. Usare le abilità è divertente, ma dopo ogni uso necessitano di un tempo di ricarica che, essendo unico per tutte le abilità, non permette di combinarle in maniera particolarmente creativa.

Le abilità diventano però molto più interessanti in co-op in 4 giocatori, quando ognuno si equipaggia magari con un Nucleo diverso e l’azione diventa molto più complessa e creativa. Un giocatore evoca uno sciame di insetti meccanici che danno fuoco ai soldati nemici, uno corre su una parete raggiungendo un gruppo di robot e fulminandoli con un impulso elettrico e due magari prendono il controllo di droni nemici bombardando le forze ostili dall’alto. Anche il bilanciamento degli scontri sembra migliorare quando si gioca in compagnia. I nemici di “Call of Duty: Black Ops 3” tendono a dividersi in due categorie: quelli che muoiono con uno o due colpi e quelli che assorbono caricatori interi e missili senza battere ciglio. E le parti in cui affronti quest’ultimi non sono particolarmente brillanti o bilanciate quando si gioca da soli, ma funzionano in co-op, quando per esempio un giocatore bersaglia un enorme robot nemico sino a fargli abbassare gli scudi e l’altro spunta armato di lanciamissili per farlo esplodere.

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In co-op sorgono però alcuni evidenti problemi nella struttura della campagna, che non sembra per niente pensata per quattro giocatori. In “Halo 5: Guardians” i quattro membri delle due squadre Spartan non erano particolarmente caratterizzati, tranne che nel caso di Master Chief, Locke e un paio di altre eccezioni, ma almeno esistevano ed erano sempre presenti, sia quando si giocava da soli sia quando si giocava in cooperativa. In “Call of Duty: Black Ops 3” quella che dovrebbe essere una squadra è invece composta solitamente da due soli personaggi (il protagonista e Hendricks) e quando si gioca in cooperativa non si capisce, dal punto di vista della storia, da dove escano fuori gli altri giocatori. Eppure sarebbe stato facile inserire più personaggi nella narrazione, considerando che abbiamo sempre a che fare con squadre di soldati. Nelle partite in singolo non avremo invece quasi mai altri compagni, se non soldati e robot casuali senza particolare caratterizzazione e, a differenza di quanto accade in co-op, questi personaggi non possono rianimarci quando finiamo a terra e non possono essere rianimati. L’intera meccanica della rianimazione scompare quindi nel single player: se il nostro personaggio va a terra muore e il nostro commilitone, Hendricks di solito, è semplicemente immortale.

È come se la campagna fosse sbilanciata se giocata in single player, quando le abilità non mostrano tutte le loro possibilità e certe parti sono solo tediose, ma fosse strutturata senza neanche pensare al co-op, aggiunto solo in un momento successivo alla scrittura. I momenti peggiori si incontrano quando un giocatore è più avanti degli altri, anche solo di un passo, e attiva la successiva cutscene. L’azione si interrompe in modo brusco, lo schermo sfuma rozzamente nel successivo filmato, che mostra un solo protagonista tagliando i personaggi di tutti gli altri giocatori e il gioco riparte poi da dopo la cutscene, apparentemente teletrasportandomi dove si trovano i miei compagni. E la campagna è piena zeppa di queste cutscene, che spezzandone di continuo il ritmo la rendono inutilmente fastidiosa da rigiocare in co-op.

Call of Duty Black Ops 3 – Recensione della Campagna: Incubi

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Dopo aver finito la campagna si sblocca una Second Quest, una campagna remix di quella originale chiamata “Incubi”. Le missioni son le stesse, ma in ordine diverso, e i filmati sono gli stessi, ma con un nuovo audio. La storia stavolta racconta di una epidemia zombi e di culti negromantici, e i nemici della campagna originale sono sostituiti da non-morti. È una aggiunta simpatica, ma niente di più. Non particolarmente difficile o interessante, non particolarmente curata. In questa variante della campagna parto senza potenziamenti e con una pistola, e abilità e armi vanno raccolti per terra come power-up, in un gusto arcade che trovo anche altrove in “Call of Duty: Black Ops 3”.

Call of Duty Black Ops 3 – Recensione della Campagna: Dead Ops Arcade 2 Cyber’s Avengening

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Attraverso uno dei terminali del Rifugio è possibile infatti accedere a uno sparatutto arcade con la visuale dall’alto, “Dead Ops Arcade 2: Cyber’s Avengening”. Lo potrei chiamare minigioco, se non fosse che è piuttosto lungo e completo, seppur molto semplice. Pure qui si parte con una pistola e le armi più potenti vengono raccolte come power-up (insieme a cose più improbabili) nel corso delle partite, che consistono in una serie di piccole arene nelle quali mi devo difendere da ondate di zombi. Uno di questi power-up ha lo strano effetto di trasformare la visuale in quella classica di “Call of Duty”, in prima persona… e beh non è per niente comodo. Intanto il minigioco è pensato per la doppia levetta analogica (con una mi muovo con l’altra indirizzo lo sparo) del gamepad e trovarmi improvvisamente a giocare in prima persona mi costringe a cambi di controllo per tornare a mouse e tastiera. E poi la visuale in prima persona è scomodissima in un gioco incentrato sul controllo di orde di nemici che arrivano da tutti i lati. Insomma, “Incubi” e “Dead Ops Arcade 2: Cyber’s Avenging”  possono essere divertenti per una partita ma sono troppo poco raffinati per avere un effettivo valore e influire sulla qualità finale di “Call of Duty: Black Ops 3”.

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Call of Duty Black Ops 3 – Conclusioni sulla recensione della Campagna

“Call of Duty: Black Ops 3” è gioco enorme, sviluppato lungo tre anni che hanno permesso a Treyarch di tornare su ogni modalità, espanderla e arricchirla. Questo non è stato sempre un bene, e il gioco sembra essersi sviluppato in modo ipertrofico e a volte incoerente, mentre le sue modalità non hanno a volte alcun rapporto l’una con l’altra. Anche la sola campagna sembra essere nata da stratificazione di cose diverse, da una struttura e una storia pensate per il single player sulle quali sono state sovrapposte le meccaniche (anche interessanti e a volte ben riuscite) di un multiplayer cooperativo. Si finisce in 10 ore e anche meno, e poi restano ben pochi motivi per tornarci sopra e non dedicarsi al solo multiplayer. Peccato, perché per certi versi, grazie alle interessanti abilità e a spunti cyberpunk che creano momenti davvero affascinanti, sembra che Treyarch stesse andando nella direzione giusta.

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